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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

lunedì 14 aprile 2014

La Calabria, una terra bella e inquieta come le vite in una vita nel raccontare la solitudine del brigante in Giuseppe Berto

di Marilena Cavallo
 
C’è quasi sempre nella vita della scrittura una realtà apparente e una apparente finzione.  Ma una terra è sempre una terra e non soltanto un luogo. Nella vita e nella letteratura. La letteratura dell’inquieto esistere. L’esistere nell’inquieto della letteratura. Sono due percorsi in un unico restare tra la storia, la vita e la letteratura. L’errore e le generosità sono nel mosaico del tempo della vita.
Questo tempo – spazio è il mosaico straziante della letteratura. Anzi è lo strazio dello scrittore che giocando on la fantasia e la finzione, in fondo, forse anche inconsapevolmente, recita la vita. Quella tra i naufragi della bassa e alta marea e il rinchiudersi nelle grotte dell’unica isola che quella dell’anima e della geografia dei luoghi.
C'è un romanzo di Giuseppe Berto in cui la storia diventa antropologia e questa si fa rivelazione di un processo che non conosce alcun elemento o motivazione moralistica dentro la realtà. "Il brigante" è un romanzo chiave e forse unico nella contestualizzazione narrativa di Berto.
Berto uno scrittore che ha raccolto la meraviglia il bello e l’ironia della Calabria. Una terra di partenze ma anche un a terra di irresistibili ritorni. Una terra nella quale si ritrova il selvaggio come diceva Pavese e il riposo davanti ad un mare che è contemplazione memoria e radici come si ascolta, appunto, in Berto.
Il personaggio Michele Rende. Il luogo, la terra della Calabria. La temperie storica. L’avventura che diventa destino.
Tre moduli di un raccontare nella vita di uno scrittore che si è sempre raccontato mai negandosi. Perché lo scrittore vive ciò che ascolta non dall’esterno o oltre l’esterno? Perché nel suo raccontare c’è sempre quell’inquieto dell’esistere che è la vita vissuta e attraversata come passione. Il personaggio di Michele Rende non è completamente nella storia. Anzi si potrebbe dire che vive la storia scontando il superamento del sogno. Il senso tragico, compreso il punteggiare gli orizzonti di vita con un profondo senso di morte, è la tragedia di una vita dentro gli archetipi del tempo – storia.
La letteratura ha sempre, nelle sue antropologie, il disegno di un quadro i cui contorni sono fatti dalla ragnatela dell’esistenza e il centro, che è la forma e il colore, costituisce la voce degli echi. In Berto sono la voce degli echi a far risuonare l’esistenza, quell’esistenza che conosce non solo il senso del tragico, come già detto, ma il tragico. Il brigante si lega al tragico e ad una terra tragica.
D’altronde è impensabile viaggiare tra le pagine di Berto escludendo la costante visione della tragedia. Il personaggio esiste in quanto riesce a legare il quotidiano all’infinito e questo al tragico che è il disegno di un profondo camminamento tra l’inquietudine e il disperante.  Si è briganti quando si è anticonformisti? Forse è dire troppo o è dire poco.
Si è briganti quando si tocca l’intoccabile e l’intoccabile, nella vita che taglia metaforicamente e metafisicamente l’esistenza, è la corda della corrente che crea cortocircuiti. Ma tutta la vita è impastata di cortocircuiti e occorre la necessità di tracciare almeno una uscita di sicurezza che conduce alla voce della salvezza.
La letteratura non è mai salvezza. Per Berto è intravedere la strada di una possibile salvezza ma per una scelta estetica del proprio essere vive nella sfida. La sfida è anche raccogliersi nel coraggio. In fondo il brigante è porre insieme il tragico nella bellezza.
Qual è il punto? Il destino di Michele Rende che ha un destino di morte. Le ultime battute con le quali si chiude il romanzo è la discesa negli inferi: “ ‘Alza le mani’ disse l’appuntato. ‘Spara!’ gridò ancora Michele Rende, e dal suo mitra partì una raffica che non finiva mai. Allora anche l’appuntato sparò, bastarono pochi colpi. Michele Rende si piegò su se stesso, e poi cadde e non si mosse più. Allora la gente si mise a correre, per andare a vedere”. Così si chiude il romanzo.
Oltre la letteratura stessa c’è l’intreccio di una antropologia della sofferenza che è manifestazione del tragico tra l’essere del personaggio e il tempo e lo spazio del luogo. Appunto la Calabria. Uno scenario che ha la dimensione del vissuto tra la gente, lo sguardo della gente, e la solitudine.
Giuseppe Berto è anche lo scrittore che vive la letteratura come estremo limite della solitudine. La sua solitudine è fatta di tante solitudini. Il brigante e la Calabria sono gli antefatti, i fatti, il retroscena, la scena e la ribalta delle solitudini che si strutturano nell’esistere del teatro della sua quotidianità.
L’insostenibile immaginario che lascia il tragico nel personaggio del brigante è una forma rivelante tra il destino e una terra. L’indefinibile terra di un vissuto che in letteratura non smette di vivere.
La Calabria è fatta di echi, di voci, della voce degli echi e di impenetrabili segreti. Il segreto continuerà a vivere nel mistero delle lontananze e nei simboli che sono l’impareggiabile scavo di una vita in più vite, o di più vite in una vita.
Così tra le maglie di una letteratura inquieta qual è quella di Giuseppe Berto in una Calabria bella tra i mari e sospesa tra fili di solitudine come nel destino di Michele Rende, un brigante per esistere.

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