di Pierfranco Bruni
Il tempo passa. Sempre. Porta via il vento delle giovinezze e restituisce ricordi. Immensi ricordi. Si fanno voce e le voci parlano con le parole degli echi. Ognuno di noi si porta dentro una storia. Una propria storia che diventa però un destino di eredità.
Da mio padre ho raccolte memorie, ma la mia famiglia non è stata soltanto mio padre, mia madre, i miei nonni. Ci sono eredità che si raccontano. Su di me hanno lasciato il segno gli zii paterni. Zio Mariano tra tutti. Il professore che abitava a Cosenza.
Ho sempre avuto una riverenza e anche un timore. Soltanto a guardarmi mi intimidiva. Professore di matematica. Quanti ricordi buoni e profetici mi portano a lui. A lui e a zia Maria, donna Maria, devo tanto.
Ho sempre avuto una riverenza e anche un timore. Soltanto a guardarmi mi intimidiva. Professore di matematica. Quanti ricordi buoni e profetici mi portano a lui. A lui e a zia Maria, donna Maria, devo tanto.
Lì, in quella casa, a Cosenza, si è sempre respirata eleganza e nobiltà, cultura e rispetto. Mi ha dato molto. È stato sempre un riferimento. Papà me lo diceva sempre. Zio Mariano parlava con un accentuazione calma e ironica, a volte, ma bastava poco per farlo infervorare. Mi ha aiutato molto. E se penso a quello che ero negli anni del Liceo e a ciò che sono oggi, arrotolando il nastro, la sua presenza è imponente e la licenza liceale la devo a lui.
Sono dignitosamente sincero. Se non ci fosse stata la sua irruenza, anche forte e paterna, nella mia vita non so se i miei studi sarebbero andati avanti. Mi seguiva a distanza con i legami di sangue. Ci penso spesso, soprattutto in questa mia età matura.
Zio Adolfo era il silenzioso della compagnia dei cinque fratelli, ma anche molto timido e riservato. Ricordo che anche in età antica fumava di nascosto. Erano altri tempi. Io non lo ricordo mai irato e la gioiezza di zia Teresa era tutta allegria. Sembrava un’attrice giunta dall’America e parlava arbereshe come la nonna Giulia.
Zio Gino, con la sua signorilità, era il quello che accoglieva i segreti con la sua pazienza. Chiedeva spesso del mio lavoro e si emozionava ogni qual volta gli portavo un nuovo libro, li teneva allineati in uno scaffale. Seguiva i miei impegni e sempre con una profonda ironia mi incoraggiava a raccontare e a scrivere con la gentilezza di Adalgisa, la sua compagna di una vita che non ha mai perso quell’accento cassanese. Era segretario comunale e uomo che conosceva le leggi.
Zio Pietro era, invece, il mito. Viveva in Sardegna. A Cagliari. Era l’uomo di mondo. Somigliava ad un attore francese. Arrivava in paese, nelle estati o nelle festività natalizie, con un maggiolino sfolgorante. Ricordo che i ragazzini gli correvano dietro. Mi portava, a me come ad altri nipoti, dei regali originali. Nella mia grande casa di paese conservo ancora alcuni di questi regali. La vita è un attraversamento di memorie. E poi la donna con la quale si era sposata aveva una bellezza sarda e mediterranea. Gabriella. Una sensualità onirica.
Era bella Gabriella. L’uomo di mondo con la giovane Gabriella. Faceva il geometra, ma la sua grande passione era stata sempre la fotografia. Era un artista. Gli ho volto molto bene anche perché guardavo a lui cercando imitarlo.
Zio Mariano era il riferimento, la severità, la certezza.
Zio Pietro era il gioco, l’allegria, le macchine.
Ho vissuto in una famiglia straordinaria. Meravigliosa.
Non parlo, ora, di papà Italo e di mamma Maria. Lo farò più avanti. Ma non si può parlare di Italo e Maria separandoli da Adolfo e Teresa, da Mariano e Maria, da Gino e Adalgisa, da Pietro e Gabriella. Sarebbe un’impresa impossibile ma neppure non mi interesserebbe percorrere il viaggio.
Il mio viaggio resta insieme a loro e ai loro figli.
Mio nonno Alfredo e mia nonna Giulia Gaudinieri erano un emblema nello stemma di famiglia.
Porto foglie ingiallite tra pagine di diario scritte a metà e fotografie in bianco e nero dove ritrovo spesso Italo e Mariano. Italo e Pietro.
Italo è stato, e lo dico in una sola battuta, un viaggiatore che non si è mai arreso davanti a nessuno ostacolo. Ci sono storie che dovrò raccontare, ma questa famiglia dei Bruni – Gaudinieri è una storia di nobiltà e di vissuti d’eleganza e coerenza.
Ci sono anche storie politiche dietro ad ognuno di loro.
Nonno Alfredo, per il paese, era un punto nodale. La nobiltà dei Gaudinieri, di origine arbereshe, portava segnali di eleganza francese.
Il tempo passa. Ma questa storia che comincio a scrivere non ha alcuna ombra. Ho tra le mani fotografie. Tra le carte di mio padre, tra l’altro, ho trovato lettere. Antiche lettere che risalgono agli anni della Guerra e del Fascismo.
Racconto. Ormai solo questo percorso dovrò ricostruire mentre invecchio.
Gli uomini e le donne che hanno fatto la storia della mia famiglia è in quella che ha disegnato il cammino di mio padre e di mia madre. Ma trovo le radici nella paternità che ha caratterizzato il mio essere e la mia camminata nel tempo. Soltanto oggi riscopro questo scavo.
Non smetto di leggere due romanzi che mi accompagnano lungo questa mia scrittura. “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa e “I Buddenbrook” di Thomas Mann.
Ho ordinato, dal mio librario, alcune copie perché vorrei che ogni erede di questi cinque fratelli avesse sul comodino questi due romanzi che appartengono al mio nostro destino.
Aveva ragione Don Fabrizio nel dire: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”. Ma nonostante tutto io “vorrei che questo ballo non finisse mai”.
È pur vero. Ma il ballo anche per me avrà un suo finale come in Angelica e Tancredi. Le memorie sono tali perché segnano un tempo che non c’è più. Ma bisogna conoscerlo questo tempo. Conosceremo per non smettere di emozionarci, per non smettere di rendere la memoria un viaggio e per continuare ad amare ciò che ci sta accanto senza lusinghe ma con grande devozione, religiosità e bene.
Scriveva Mann: “I tempi progrediscono, ma secondo me si lasciano indietro le cose migliori”. Non è retorica. Si continua a vivere, a volte, con i ricordi perché sono i ricordi che non permettono di sbagliare e andare avanti con il sorriso, la dignità, la severità, la pazienza, la nobiltà. Cinque foglie di vita per una storia di famiglia tra Alfredo e Giulia e i cinque fratelli.
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