di Pierfranco Bruni
Ci
sono attese che si fanno fantasia. Tropea è una festa. La festa è anche la
musica tra gli echi del mare. Ci sono ricordi che ritornano. Tra le strade
dell’antico silenzio e delle bifore che raccolgono il vento che giunge dal mare
Tropea è un’archeologia dei segni, dei simboli e del sapere. Sono trascorsi
anni e camminare tra i vicoli significava fermare le parole e ascoltare il
luogo, i luoghi, i passi. Erano gli anni Novanta. A metà degli anni Novanta.
Io, Alberto Bevilacqua e Francesco Grisi. Avevamo percorso un lungo tratto di
viaggio. Insieme. Da Taranto a Tropea.
A
Taranto Alberto era stato premiato al Premio Letterario Ori di Taranto – Magna
Grecia. Da lì partimmo perché Alberto voleva conoscere di più la Calabria. Soprattutto
quella Calabria che Giuseppe Berto aveva profondamente amato. E Grisi, che
aveva il misterioso negli occhi, immediatamente propose di “passeggiare” tra le
vie di Tropea e poi raggiungere Capo Vaticano.
Facemmo
due soste prima di toccare il Tirreno, il mare degli azzurri che ha veli di
alchimia. E Alberto, che aveva nello sguardo l’alchimia con i suoi “sensi incantati”,
si meravigliava di tutto. Non è vero che la meraviglia ha un’età.
Ci
fermammo a Sibari per poco tempo e poi proseguimmo per San Lorenzo del Vallo.
Lì, restammo per una ricca colazione. La mia casa con le palme. Allora mio
padre coltivava le rose bianche e mia madre aveva il sorriso della bellezza.
“Già
andate via?”, mi disse mio padre.
Era
il mese di maggio di un anno che ricordo bene.
Io,
Francesco e Alberto dovevamo raggiungere Tropea e poi Capo Vaticano per
raccogliere l’attesa di Giuseppe Berto.
Un’altra
sosta doverosa fu a Cosenza.
Alberto
volle visitare la Casa
editrice di Luigi Pellegrini. Come sempre con l’eleganza e lo stile ci
accolsero. Walter ci accompagnò con la sua signorilità nella storia di una vita
che è quella dell’editoria degli anni Cinquanta. Lì è ben custodita una
splendida auto di Francesco.
Poi
a riprendere il viaggio sulla Salerno – Reggio Calabria ci accompagnò il sole.
Dovevamo tornare in nottata. Infatti, arrivammo a Tropea. A Capo Vaticano nel
pomeriggio inoltrato. Da lì si vedeva, allora come oggi, il rossore degli
orizzonti nello sguardo della Sicilia.
Alberto
disse: “Giuseppe aveva ragione nel dire che da qui la Sicilia è fatta di luci,
scintille, paesaggi. Da qui è un presepe nel crepuscolo che intaglia di magie
il vento”.
E
Francesco sottolineò: “Nel mio ultimo incontro con Berto si parlò soltanto
della Calabria e dei calabresi di Tropea e del Capo. Non solo nei suoi romanzi la Calabria ha un respiro
che raccoglie le memorie sommerse di Alvaro. Anche nel suo parlato tra amici,
le memorie hanno parole corte e le sensazioni sono nel tempo lungo”.
Riprendemmo
il breve tratto di viaggio, ero io che guidavo con la mia auto, per
parcheggiare al centro di Tropea.
Nella
passeggiata di Tropea avevamo sorrisi antichi.
Era
il buio che dominava e c’era il rumore del mare che si spingeva sulla spiaggia
e, nelle distanze, le onde sembravano uno schiaffo di schiuma.
Penetrammo
gli intagli che si aprivano alla storia di Tropea. Qualche vetrina dei negozi
si mostrava con i suoi coralli nelle sfumature del rosa e del rosso. I profumi
avevano giungevano con le folate di vento dei peperoncini e delle cipolle
fresche.
Francesco
ci disse: “La Calabria
ha tante storie da raccontare. Non può fare a meno delle leggende e delle favole.
È un sogno dimenticato perché resta sempre un mondo sommerso”.
Riprendeva
immagini di Alvaro che si recitano nell’immaginario di Berto.
Alberto
annuiva e i suoi occhi sembravano due fari.
Il
mare di Tropea si lasciava ascoltare mentre la passeggiata era diventata uno
scenario tra i tocchi di una sera di maggio e un maggio che si apriva
all’annuncio di una nuova estate.
Il
destino ha scritto pagine di vite in questo nostro incontro e mi trovo a Tropea
per il suo prestigioso Premio Letterario (Premio alla letteratura) con il mio
libro dedicato ad Alberto Bevilacqua, uscito in questi giorni con l’editore
Pellegrini e curato con gioia da Walter nel suo titolo profetico: “Spegnersi
per non consumarsi. Io e Alberto Bevilacqua”, nel cui interno si parla anche di
Francesco Grisi e racconto di Giuseppe Berto che ha formato il mio viaggio
letterario a cominciare da “Il cielo è rosso” sino allo splendido “Anonimo
veneziano” sino a “La gloria”.
Tra
i passi lungo le strade di Tropea è ancora Alberto Bevilacqua che mi
accompagna. Il suo ricordo. I suoi echi. La sua presenza in un immaginario
misterioso.
Come
nel maggio della meta degli anni Novanta.
In
tarda nottata riprendemmo il viaggio e ci fermammo per un po’ di ore nella mia
grande casa di San Lorenzo del Vallo, con le palme nella Calabria della chora
sibaritide.
Ormai
sono passati anni. Annilunghi.
Ritorno
a Tropea non con malinconie, anche se qualche foglia di nostalgia sfiora il mio
guardare nello scavo del tempo.
Il
Premio Letterario tra le onde che sfiorano e urtano le alzate del porto.
Il
porto di Tropea è in festa e il Premio è un ritrovarsi e un incontrare giorni
che si intrecciano ad altri giorni che sono viaggi e resteranno in altri
cammini.
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