di Pierfranco Bruni
Nonna
Giulia muore giovane. 1949. Nonno Alfredo ha un’età antica. 1979. Il nove
campeggia tra le loro vite. Come in quella di mio padre. I numeri non sono
cifre. Me lo ha sempre detto zio Mariano che di geometrie, aritmetica e algebre
era un maestro. Non insegnava matematica. Era un matematico.
Raccoglierò
tra altre pagine i simboli che si definiscono nei numeri. Simboli. Archetipi. Modelli
di esistenza. Perché anche in mio padre il nove ha la sua importanza? Sommo,
sarebbe bello ragionare con zio Mariano su questo, numeri. 21 più 12 più 2012. mi spiego (ma che
brutto dire mi spiego, lo so ma non posso farne a meno). Ecco. Tre. Tre. Tre.
Uguale nove. Il nove finale che lega
nonna Giulia con nonno Alfredo sembra un gioco alchemico. Ma io credo alla
cabala e alle vite sognate dagli sciamani.
Sempre
bisogna fare i conti con i numeri. Zio Mariano mi direbbe che possono esistere
numeri perfetti. Zio Gino mi spiegherebbe perché anche i numeri possono
emozionare. Zio Pietro mi creerebbe una griglia geometrica intorno ai numeri e
zio Adolfo mi sorriderebbe dicendomi “raccogliti nel silenzio e rifletti”.
Mentre mio padre mi osserverebbe soltanto con quel suo sguardo puntato nei miei
occhi e con in testa un basco nero.
Il
nove. Non finisce qui il mio confronto con la sensibilità dei numeri. Ma guarda
un po’. Io che sono stato sempre il “gaiuduro”, mi diceva zio Mariano, delle
matematiche, ora mi ritrovo a raccogliere pezzi di cifre per cercare di capire.
Ma cosa?
Il
tempo è passato. “Ma dai, è un ragazzo, non essere severo…”. Diceva zio Pietro
al fratello Mariano, discutendo su di me in un tempo in cui mi era saltato in
mente di fare l’attore e mio padre, addirittura, per accontentarmi, mi aveva
portato da un fotografo a Cosenza per delle foto in posa da spedire a un
regista.
Erano
anni di una ironia in cui gli anni sembrano non avere senso. Ma tutto ha senso.
Nonno
Alfredo con i suoi occhi di antico nobile signore legge il suo quotidiano e non
commenta. Riporta nella storia la cronaca. Ma per lui la storia si è fermata
quando la Monarchia
è diventata Repubblica.
“Cosa
sarà mai questa Repubblica…”. Si chiedeva spesso. Ha letto i suoi quotidiani
sino a qualche giorno prima di lasciarci e con quel suo sguardo da “Imperatore”
non dava giudizi, ma bisogna leggere in ogni sua occhiata un pensiero, il
pensiero. Per anni ha registrato l’economia di un paese, il suo, il mio, il
nostro. E le terre erano la ricchezza di un destino.
Mio
padre ha custodito quelle terre, con la sua vigna e il suo uliveto, sino a
quando è riuscito a gestire da solo il tutto. Io non ho mai capito l’importanza
della terra, delle terre… Forse questo è stato anche un dolore per lui, ma io
non ho mai capito come non ho compreso tante altre cose. Ho vissuto, come tutti
noi, in una famiglia ovattata, in parte attraversata da decadenze nobili come è
naturale nelle storie, ma nobile in quella antica dignità e in quell’orgoglio
che non smette in alcuni di noi.
Cerco
di mettere in una conchiglia tutti i ricordi per farne echi nella mia vita.
Nella nostra vita. Sono entrato in un’età dove si può tutto raccontare, perché
il racconto non è soltanto memoria ma è cercare di comprendere cosa siamo e
cosa siamo stati.
Sono
stato a Cosenza. C’è una stretta alla gola ogni qualvolta percorro la vecchia
Viale del Re. Ma tutto cambia? Già, forse per restare come è sempre stato? I
Gattopardi conoscevano i destini delle stelle e don Fabrizio aveva il fascino
misterioso dei numeri. Dialogava con le stelle.
Mio
padre si intravede appena. Cacciatore di antico coraggio. Porta un fucile con
la canna in su ed è nascosto dai rovi. Zia Gabriella ha un sorriso
mediterraneo. Zio Pietro gioca con un filo d’erba.
Nel
soggiorno di zio Mariano si discute. Mia madre è una costante telefonata del
cuore.
“Siete
sempre i soliti… La cena è pronta. Non vi chiamo più…”.
Passano
gli anni. Mio padre cerca di intonare Claudio Villa accennando a “Granada…”.
Mia madre resta fedele alla “Donna riccia…”. Forse si intravedeva in quella
immagine di donna riccia. Zio Adolfo mi consegna il “Corriere dello Sport”.
I
mondiali del 1966. Ah no… La
Corea … io non avevo superato i dieci anni.
Il
giorno dopo la partita con la
Corea andai al mare con zia Teresa… Partimmo come se mezza
famiglia si dovesse trasferire… È lì che ho rubato un pallone portandomi dietro
la rabbia della sconfitta della Nazionale italiana con la Corea …
Poi
ricomincia tutto.
Il
tutto. Che vergogna? Alle Scuole medie mi affibbiano una sospensione perché
lanciavo bigliettini amorosi alle compagne di classe… Interviene, come sempre,
zio Mariano… Che menate piene di dignità… Il nipote di Mariano sospeso alle
Medie… Ma poi mi fanno ritornare… C’era motivo di quella sospensione?
Gli
uomini sono strani. Certi… Ma non gli pareva vero a quel professore di aver tra
le mani un Bruni e portarlo davanti al Preside per chiedere una sospensione per
un bigliettino che diceva: “Sei bella, ci vediamo…”.
Già,
erano gli anni impossibili con una Media che è nata con la mia generazione in
un paese sperduto e di sperduti tra i ritagli di una geografia della Magna
Grecia. Sospeso per tre giorni. Poi agli esami di Terza media tutti si
chiesero: come io, proprio io, avrei potuto scrivere un tema, straordinario e
preciso di Italiano sull’invasione russa a Praga. Eppure era mio quel compito.
Ma di questi fatti è cola il mio destino scolastico.
La
storia non è vero che non si ripete. Mio figlio Virgilio ed io ne sappiamo
qualcosa al tempo del suo Liceo, ma questa è una pagina che racconterò a parte
non risparmiando nulla ad alcuno ma è un’altra storia…
Ancora
mia madre: “I piatti sono a tavola… Non vi chiamo più…”.
Eravamo
i Gattopardi… Lo siamo ancora. Guai a non esserlo…
Quel
professore che mi ha sospeso non sapeva che il Preside delle Medie era fraterno
amico dello zione di Cosenza… Cosa voglio dire? Ci sono docenti…
I
tempi cambiano? Ci vuole dignità in tutto.
Resto
nella sera di luglio a raccogliere farfalle. Nel mio giardino, in Calabria, la
palma ha superato le mura della casa, le rose hanno la fioritura di un giorno e
le orchidee raccolgono il chiaro dell’alba per depositarlo nel crepuscolo.
Zio
Gino con la sua voce paziente: “…vedrai troviamo una soluzione…”.
A
cosa?
Zio
Pietro fotografa il cancello che porta una data: 1929.
Zio
Adolfo cerca ritagli di giornali.
Zio
Mariano: “Mi raccomando, devi laurearti…”.
Mio
padre: “Ecco non avevi ragione ma neppure torto. Solo che molte volte devi far
finta di non ascoltare per andare avanti con il sorriso…”.
Mia
madre, ricci e capelli neri, con la sua voce italianizzata, grida per farsi
sentire e dare un senso al fatto che non è stata ancora ascolta: “I piatti…
Italo…”.
Il tempo passa? No, il tempo è già passato… I
destini si incrociano con il mistero…
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