di
Pierfranco Bruni
Cosimo Fornaro |
Lo snodo tra poesia e
percorso narrante in Cosimo Fornaro, di cui si ricorderà la sua presenza
letteraria nella temperie del Novecento il prossimo 27 settembre a Taranto, è
dato dallo sviluppo di un linguaggio tutto metafisico. Una metafisica abitata,
fino in fondo, dalla testimonianza sia umana che spirituale.
La sua poesia è il leggere
il tempo della spiritualità con il vissuto e con i tasselli della memoria. Il
suo narrare è recuperare la visione del centro nella individuazione del
personaggio. Da Emiliana a Maria. La poesia è linguaggio lirico nel momento in
cui la parola perde gli orizzonti e ritrova il senso.
Fornaro ci indica due
percorsi. Il pensiero che diventa un archetipo di pensieri. Il silenzio che
diventa un toccare i segni dell’altro in sottovoce. È un preludio il suo primo
libro scavato oltre il porto sepolto. Pensieri sottovoce.
La preghiera è sempre un
parlare – pensare rivelante sottovoce. La poesia, infatti, è una preghiera. Non
ha teologia, ma mistero. Ha una sua sacralità tra i simboli che si raccolgono
in una alchimia che tocca l’anima dello spazio che lega il labirinto al
viaggio.
La parola, in Fornaro, è
attrazione dell’attesa. Intorno a questi codici è possibile ricucire il tessere
della tela della metafora nel tessuto della vita. Se Emiliana diventa un
bisogno di ascoltare, nel viaggio intorno all’abitare la Magna Grecia, la
spiritualità di una presenza forte, attraverso anche i luoghi, la figura di
Maria è l’esemplarità del mistero che supera ogni tocco della ragione per farsi
esilio della storia e diventare profezia nella speranza.
Pierfranco Bruni |
La poesia è una offerta che
ha come “costellazione” il mito. E oltre il mito che la terra e il mare di una
geografia che ha tracce di infanzia e di giovinezza, ovvero di tempo in una
metafora giocata tra il “luogo” e il “vivo”. Ma si tratta, comunque, di una
metafora catturata da una dimensione reale. Un Luogovivo è un luogo che insiste
nel nostro essere, ma questo nostro essere, in Fornaro, è la cesellatura che
chiosa la pazienza.
Se non ci fosse la pazienza
non ci sarebbe la capacità di leggere la profezia. Accanto a questi due confini
che sono anche l’oltre insiste la provvidenza. Lo scrittore e il poeta nella
cristianità si focalizza nella centralità, ritorna il concetto di centro, della
Terra Promessa.
Ecco perché tra gli
scrittori che hanno intrecciato il mito alla griglia simbolica del Mediterraneo
– Magna Grecia (da Viola a Carrieri, da Spagnoletti a Pierri, da Tebano a De
Giorgio) Cosimo Fornaro ha realizzato una intelaiatura, nel tempo del sublime,
tra l’estetica della provvidenza e la volontà dell’orazione.
Come nei versi di Santa
Teresa d’Avila l’orazione è il linguaggio dell’anima perché diventa il
“castello” della solitudine,ma questo “castello” è la rivolta, sul piano della
dialettica critica, del realismo magico in una inquietudine cristiana, Fornaro
è nella generazione di Francesco Grisi, di Diego Fabbri, di Mario Pomilio che
appartengono alla scuola di Mauriac e dei Papini del racconto di Cristo.
Le “orazioni”, lette come
poesia dello spirito nello spazio – tempo, della “Teresina” sono spaginazioni
teologiche per recitarsi come profezie e viaggi mistici. Ma la letteratura è un
individuale misticismo.
Fornaro ha vissuto la
letteratura e la parola della letteratura nello scavo del misticismo: dalla
poesia al racconto di Maria in un (con un) cerchio che va da Dante a Pavese.
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