Il viaggio dell’aurora che ha
gli occhi della notte
Di Pierfranco Bruni
La
poesia e il raccontare di Pedro De La
Valle ha la metafora che intreccia il sogno con i dettagli di
una memoria che raccontano vissuti. Uno scrivere nel quale il gioco del
linguaggio ha la sua peculiare presenza tra l’alchimia e l’orizzonte di una
sacralità che vive nel dubbio.
“Ancora
non ho vissuto l’alba/perché non so se io sono
l’alba/o è l’alba ad essere in me”.
“Le
ombre non hanno certezze/perché le ombre sono la percezione della
maledizione./Se mi cammina accanto non ha senso./Devi camminarmi nell’anima”.
Un
poeta che ha fatto perdere ogni traccia.
Nato nel 1855 in Spagna. Giovane
lascia la sua terra e si imbarca per i Mari del Sud. Approda prima in
Cappadocia dove scrive il poemetto: “L’aurora ha gli occhi della notte”.
Pubblica
il testo nel 1914. un percorrere tra la ricerca di capire la “follia” del
linguaggio in poesia e la poesia che diventa “follia” e permette, però, di
leggere la vita con gli occhi della notte.
Scrive
testi su Novalis, su Poliziano, sulla poesia dei Sufi e soprattutto intreccia i
suoi versi con i versi del “Cantico dei Cantici”. Due anni dopo raggiunge
Tunisi.
Nel
1918 scrive: “Se il mare ha una sola onda”.
Un
racconto lungo nel quale si racconta la storia di una nuvola che incontra
un’aquila e stabiliscono di incontrarsi cercando sempre la stessa onda. Una
volta trovata il loro dialogo si intavola sul concetto di Infinito e di
Inferno.
Nello
stesso anno scrive un breve saggio su “Le ricordanze” di Leopardi. Sostiene
provocatoriamente che il Leopardi che ha vissuto il tempo nella vita e la vita
nel tempo è quello che supera la visione dell’infinito per chiudere le bifore
del senso della storia nelle ricordanze.
L’infinito
non ha finito, ha sostenuto Pedro De La Valle , perché la vita dei popoli sono
metafisicamente infiniti e trovano nel finito una giustificazione per lasciarsi
vivere dall’inferno. Ma una volta compreso che l’infinito è anche fuco non vogliono
più accettare l’Inferno e vagano come anime perse e tentano di guardarsi in uno
specchio ma non riescono a specchiarsi perché lo specchio rispecchia soltanto
lo specchio.
Un
gioco di figure che si contrappongono come i versi della poesia “Sulle cime
delle dita ho intrecciato foglie di vento”.
“Non
dirmi più parole perché le parole non esistono/nel tempo./Non dirmi più di
fermare il sogno/il sogno è una notte/soltanto una notte./So che sulle cime
delle dita il vento ha intrappolato le foglie/della morte./Solo la morte ha
l’infinito”.
Credo
che andrebbe riletto attraverso parametri culturali complessi. Resterà sempre
lontano dalla ufficialità delle accademie perché Pedro De La Valle ha fatto una scelta.
Studioso
del mondo sciamanico ha consacrato i suoi ultimi versi a questo linguaggio: “Se
non ho/non voglio avere./Se decido di avere/al dio della Luna/affiderò il mio
volo,/Ma io sono nato di mare/e di mare resterò/con il sale e le pietre della
mia isola./Lasciate che il vento sia vento”.
Versi
di una singolare bellezza. Ma Pedro De La Valle ha fatto della sua vita una icona di
bellezza.
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