presentato dalla Dante Alighieri a Cosenza
Di Maria Cristina Parise Martirano
(Presidente Società Dante Alighieri di Cosenza)
“La pietra d’oriente” (Pellegrini editore) è un “romanzo” molto suggestivo che ho letto tutto d’ un fiato. Certamente siamo di fronte ad un romanzo autobiografico in cui la esperienza personale si fa esperienza collettiva e quindi c’è un sottinteso pedagogico. Su di me il titolo “pietra d'oriente” produce l’effetto di certe gemme orientali che cambiano colore a seconda della luce come succede con il romanzo che si legge secondo il proprio vissuto. E’ un libro su cui si potrebbe parlare per ore.
Innanzi tutto il tema centrale è il viaggio e quindi la presentazione nell’ambito della Dante, è in linea con il viaggio dantesco… Si avverte nel romanzo il percorso tortuoso e comunque incompiuto della esistenza dell’autore (e di ciascuno) ancora in itinere, infatti è più volte prospettata e auspicata una ripresa e continuazione.
Pierfranco Bruni e Maria Cristina Parise Martirano |
C’è il racconto del suo vissuto attraverso i personaggi che altro non sono che fantasmi emergenti dal fondo della sua coscienza stratificata e in continua stratificazione: si sentono gli echi della sua inquietante formazione cristiana con tutti i dubbi e gli interrogativi senza risposta di Giuda e Pilato a Cristo Verità e Bellezza assoluta.
C’è il bisogno e la indispensabilità del deserto e dell’ascolto, del silenzio e della solitudine, del segreto e del mistero nell’apertura al fascino di altre culture orientali antiche e moderne certamente sperimentate ed attraenti, ammiccanti come Nadine, la pietra d’oriente. Ma è l’incompiutezza il fine e la fine del romanzo che come ho detto altro non è che una pausa in attesa della ripresa ed un incipit.
Nella stessa metafora della pietra si può cogliere il crogiuolo della sua coscienza che va dal richiamo alla parabola della prostituta (chi è senza peccato scagli la prima pietra) alla pietra di Pietro, su cui si costruisce la chiesa, fino alla pietra d’oriente cangiante e seducente, con allusione alla pietra filosofale. Nel romanzo mi sembra che il protagonista segua il percorso sofferto di quei labirinti incisi sui pavimenti delle cattedrali, chiamati anche Chemins à Jérusalem, sostituti del pellegrinaggio in Terra Santa che bisognava percorrerli in ginocchio, con un rosario, pregando per la salvezza della propria anima.
Ed infatti spesso lo troviamo in preghiera con il rosario in mano…Penso al labirinto di s. Vitale a Ravenna o a quello più conosciuto di Chartres …nel labirinto l’ingresso è anche l’uscita che si deve raggiungere sperimentando continuamente percorsi lunghi e difficili. Quando la meta appare vicina, la via si interrompe e ti allontana e ciò che sembrava conquistato è perso.
Occorre un’illuminazione, quella di Paolo lungo la via di Damasco, non ci sono scorciatoie, ma bisogna percorrere tutta la strada, affinché tornando indietro ciò che si è imparato possa essere utile per tutti.
Il labirinto da sempre simboleggia il percorso interiore attraverso cui lo spirito si può evolvere e innalzare ad un livello superiore. Si sentono nel racconto echi della tradizione cabalistica che anche al percorso del labirinto attribuiva una funzione magica: è uno dei segreti attribuiti a Salomone; nella Bibbia ne viene descritto uno nel cortile davanti al Tempio di Salomone.
C’è, come ho detto, l’allusione alla pietra degli alchimisti alla continua ricerca della pietra filosofale soprattutto all'interno di se stessi, dove si opera la vera e propria trasformazione dell'io nel passaggio dalle tenebre alla luce. … la veglia dei cavalieri iniziati in partenza per il loro viaggio… Qui mi fermo, e cedo la parola alla prof.ssa Ciliberti.
Maria Cristina Parise Martirano
(Presidente Società Dante Alighieri di Cosenza)
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