di Pierfranco Bruni
Era il febbraio del 1925. Luigi Pirandello e Marta Abba si conoscono. Lei, milanese, ha soltanto 24 anni. Luigi ha già 57 anni. Il loro rapporto è di collaborazione e di amore. Lei lo ha sempre considerato un maestro. Lui gioiva di essere considerato il suo maestro. Ma la vita è fatta di anni che si intrecciano e che passano.
La vita, per Luigi, è il linguaggio che intreccia parole e si fa teatro. Per Marta è la recita che attraversa i luoghi e diventa un gioco infinito nel sorridere alla giovinezza. Luigi afferra l’impossibile cercando di trasformarlo in indelebile viaggio. Ma non sarà così. Il loro legame è un legame per sempre tra una amore – passione mancato e la sofferenza costante in un delirio di sguardi. Si scriveranno sino ad una settima prima della morte di Luigi, nel 1936.
Il loro resterà sempre un amore che vivrà sul filo dell’agonia. La disperazione, che è declino di un uomo e mai di un maestro, è l’attraversamento della corrispondenza tra Luigi e Marta. Una disperazione che lacererà l’anima di Luigi e mai quella di Marta. C’è passione in Luigi. Attenzione in Marta. Per Luigi, Marta ha il nome non solo della sua musa e dell’attrice alla quale affiderà parti importante, ma è come se fosse un “mal giocondo” nella sua vita.
Quel “mal gioco” che sembra vivere di attrazioni , ma è un riposo pur lungo la strada del tempo che lega il dolore degli anni e la definitiva e ultima attrazione. Restano un immaginario nella letteratura e un’immagine che fissata sulla scena del teatro e mai nella vita vera che si recita nel quotidiano.
Di questo Luigi è consapevole, ma il suo dolore è l’estremo silenzio della sua profondità. Una delle prime lettere che Pirandello spedisce a Marta risale al 7 febbraio del 1925. L’ultima è scritta sei giorni prima della morte di Luigi, ma giungerà a Marta soltanto quattro giorni dopo. Lei si trovava a Broadway. La lettera porta la data del 4 dicembre del 1936.
In quest’ultima lettera, che Marta leggerà in teatro, si annota: “…Se penso alla distanza, mi sento subito piombare nell’atroce mia solitudine, come in un abisso di disperazione…”.
È questo lo scenario dentro il quale Luigi vive la sua “abitazione d’amore” con Marta. Lei è sempre gentilissima, affettuosa, attratta dalla sua maestria e del suo pensiero, ma questo non significa che ne sia innamorata. In fondo la grande pena di Luigi è proprio questa.
Nel 1929 Pirandello si trovava a Berlino e il 28 marzo scriveva a Marta: “Marta mia…Se Tu potessi sentire quanto soffro, son sicuro che avresti un po’ di pietà per me”. Perché Pirandello confonde amore, passione, attrazione e pietà.
Luigi ha bisogno di pietà?
Siamo agli antipodi del D’Annunzio di Eleonora. Quel D’Annunzio che ha fatto anche degli amori una vera opera d’arte. Quel D’Annunzio che ha fatto della donna una costante nell’intreccio tra l’estasi e il sublime.
Pirandello chiede di essere consolato.
Sempre da Berlino il 1930 sottolinea: “Marta mia,/ eccomi di nuovo seduto a questo tavolino, col tuo ritratto davanti e la tua sveglietta che vorrebbe confortarmi col suo ticchettio”.
Luigi dipende completamente da questa donna anche se, in molte occasioni, la sua vita amorosa non entra nella sua scrittura e nelle sue opere. L’altra completa separazione con D’Annunzio è anche qui.
D’Annunzio trasporta il suo tragico gioco sensuale nei suoi romanzi e il suo linguaggio è la sua vita. Pirandello sembra, dico sembra, separare quella vita, anche se vive in molti suoi scritti come modelli di eredità e di testimonianza, dal vocabolario delle sue opere.
Il dramma “Come tu mi vuoi” ha delle “assonanze” con Marta: “…e tutta la mia vita sei Tu”. Sempre nel 1930 ancora da Berlino Luigi le scrive: “Io sono Te, come Tu mi vuoi; e se Tu non mi vuoi più, io – per me stesso – non sono più nulla, e vivere non m’è più possibile”. E poi più avanti: “La vita è fatta di momenti…”.
Ma quali momenti Luigi raccoglie o custodisce di Marta? Da Parigi il 1931 Luigi afferma: “Ah, Marta mia, per seguitare a lavorare come sto lavorando, bisogna ch’io pensi assolutamente che Tu sei sempre la stessa per me…”. E ancora più avanti nella stessa missiva il dolore non può che leggersi con la tramatura della pena: “Scrivimi, fatti viva, ho tutta la mia vita in Te, la mia arte sei Tu; senza il Tuo respiro muore”.
È realmente il vento dell’agonia e malinconia che delinea questo loro rapporto. Qui si riportano soltanto le lettere di Pirandello (cfr. Pirandello, “La mia arte sei tu”, L’ORMA editore) a Marta, ma dalle parole di Pirandello è evidenziabile che il loro legame sentimentale è molto fragile ed è Marta che lo regge legandolo ad un filo di vento, e regge il gioco, perché Pirandello resta sempre il maestro, ma c’è anche una fedeltà di Marta verso il maestro sul piano, però, professionale, del quale lei ha costantemente bisogno, e se si è trovata a diventare la Marta Abba è proprio Pirandello che ha aperto le vie del teatro, del palcoscenico, della letteratura sulla scena.
Ancora una volta la differenza con D’Annunzio è fondamentale.
In una delle ultime lettere, datata Roma 7.X. 1936, in chiusura si ascolta: “… qui lontano, resterò a vivere fino all’ultimo respiro./Addio, Marta mia! E sentiti sempre, tutta, nel bene senza fine che Ti vuole il Tuo/ Maestro”.
Ed è come se prevedesse la fine imminente.
In queste lettere ci sono stanze di vera poesia, di quella poesia con la quale si è confrontato proprio all’inizio della sua scrittura. Si potrebbe dire che Pirandello chiude il suo viaggio esistenziale avendo accanto, nel pensiero e nel pensare, la sua Marta.
Quanto è contata dal 1925 in poi la presenza di Marta nella vita e nell’opera di Pirandello? Credo tanto, la sua musa, e lui per lei resta sempre il suo maestro anche quando avrà il successo a scena aperta.
Per Pirandello Marta resterà sempre la protagonista di “Nostra Dea” nel debutto, di cui parla nella lettera del 7 febbraio del 1925, a Roma al Teatro Odescalchi in data 22 aprile.
La loro storia, una metafora? Direi di no. Perché per Luigi, Marta resterà sempre una Dea. La sua Dea. Senza il suo pensiero Luigi non riusciva a vivere (nella lettera da Parigi del 1931). È così è stato.
Il congedo degli ultimi scritti è profetico. “…la lettera è già lunga, ed è tempo che la mandi alla posta. Ma quando ti arriverà?...”. Così nella lettera spedita da Roma. Luigi viene a mancare quattro giorni prima che la sua Dea possa ricevere e accogliere queste parole.
Per Pirandello Marta è teatro. Quel teatro che assorbe il cuore e la coscienza e proprio per questo diventa la stagione ultima della sua vita. Il coraggio della pena che si fa agonia. Senza Marta cosa sarebbe stato Pirandello negli ultimi dieci anni della sua vita? Lettere e dettagli di poesia…
Marta Abba morirà a Milano nel 1988.
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