L’Albania è un racconto.
Le donne danzanti nel suono balcano e tra i passi arabi
di Pierfranco Bruni
Nell’alba tarda l’auto da Tirana va verso Scutari. Ci sono giochi di ombre e le ombre sono dei chiaroscuri.
L’Albania è un racconto!
Tirana.
Non un ricordo. Ma un presente nella sua presenza nella mia vita.
Una città che porto nei miei viaggi. È l’Adriatico che dialoga con i Mediterranei. È la danza balcana che racconta la storia della mia terra tra le favole di Scanderbeg e il tempo spaginato nei giorni che toccano le avventure di mio padre. Più volte sono stato a Tirana.
Le Moschee, dove ho pregato, hanno la parola orante di un Dio che sempre illumina.
Quei volti, quelle strade. I vicoli sono intrecci nelle parole e nei linguaggi tra un albanese che si è raccordo di antico con gli accenti del Sud d’Italia.
Nel mio Sud c’è anche la mia Albania. Nella mia Albania dei viaggi lasciati sempre incompiuti ci sono pezzi di radici. Ascolto le musiche. Pur nelle notti e nel freddo tagliato dal sole quell’Oriente mi penetra.
Ho foto incallite di anni trascorsi tra spazi di incontri e di conferenze. Scutari, non molte lune fa, mi ha accolto con la simpatia e il sorriso tirato dall’avventura albanese.
Viverci potrebbe essere un’abitudine. Ma l’abitudine si spezza.
Viverci è sempre lasciare tra le strade un pezzo della propria vita.
I ricordi mi coltivano e raccogliere le case rotte e i nuovi quartieri di Tirana è un gioco in un immaginario che non mi abbandona.
Ho sempre saputo che tra i fili radicanti delle mie radici ci sono voci d’ Albania. Sin dalla mia infanzia vissuta in un paese della Calabria che ha ospitato i primi albanesi arrivati in Italia ho intrecciato malinconie.
Dall’oblò dei miei passi recitati, allora, guardavo sulla geografia dei mondi dove fosse l’Albania. Poi mi sono reso conto che nel vecchio di Tirana, un racconto mio di secoli fa, vivevano le metafore del mio esistere.
Non so perché scrissi, secoli fa, un racconto intitolandolo proprio “Il vecchio di Tirana”.
Poi ho scoperto le mie vie. Sono arrivato agli orizzonti in cui l’Adriatico intreccia i miei Mediterranei e l’Albania è il centro dei miei destini. Poi ho camminato tra le strade dell’Albania e lì in quelle danze dove le donne sono incantesimo d’Oriente nell’Occidente ho intrecciato i sentieri dell’anima con gli sguardi mai assenti.
I colori del giallo e del rosso dei vestiti danzati delle donne albanesi sono un girotondo tra le mie immagini. È come se raccogliessero giorni di festa e quegli occhi di mare tra il verde l’azzurro e il celeste sono un camminamento tra le pieghe delle nostalgie.
La nostalgia! Non so se sono io ad accompagnare la nostalgia o se è la nostalgia a seguire il viso di quelle donne che hanno la pelle balzana e il canto che ha rimandi arabi.
Il fascino del mistero non ha il tempo della ragione. Ma io vivo del mistero nel fascino dell’incanto. E dopo la realtà il mistero dell’Albania è un incantesimo tra le mie parole.
Le mie parole hanno la nostalgia? O la nostalgia ha le mie parole incatenate nei ricordi di un’Albania che porto nel cuore.
Ho sempre cercato di ritornare nell’Albania delle parole spezzate e dei linguaggi ritrovati. È un canto che recita. È un canto che disegna destini.
Porto l’Albania tra i silenzi e le voci.
Porto l’Albania tra le mie radici e le memorie.
Avrò altri appuntamenti. Altri appuntamenti mi aspettano ancora nel sole che taglia il vento tra Tirana e Scutari.
Ci sono suoni balcani e passi arabi nella mia Albania e tra le donne danzanti che hanno il sogno nell’alchimia dell’incanto.
C’è sempre un’alchimia che si lega ai viaggi. Io che tanto ho viaggiato non ho mai frammentato il mosaico dei giorni.
L’Albania è un mosaico. Tra i miei giorni. E le danze non smettono di vivere nel ritmo dei miei silenzi.
È il tardo meriggio.
L’auto da Scutari verso Tirana.
Non ci sono più ombre. Roseo, rossiccio, amaranto. E poi il crepuscolo.
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