di Marilena Cavallo
D’Annunzio,
tutto sommato, ebbe anche una eleganza francese in quel suo sublime raccordo tra la vita e la
letteratura.
Soggiorna tra Parigi e Arcachon e tra l’altro scrive e pubblica i versi inclusi in Merope dedicati alla celebrazione della guerra Italo – turca, oltre alla tragedia in versi
Marilena Cavallo |
D’Annunzio
ha sempre considerato la
Francia non soltanto il Paese dello stile e dei profumi
nell’eleganza delle donne, ma quando l’Italia fascista strinse il patto con la Germania , D’Annunzio, nel
condannare questa sciagurata alleanza, aveva consigliato Mussolini di stringere
un accordo con la civiltà latina della Francia, considerata l’unica Nazione con
la quale l’Italia poteva confrontarsi per storia e cultura.
Rimase
in Francia sino al 1915. Vi era giunto nel marzo del 1910.
Tradotto
con interesse in Francia, egli stesso scrive in francese e compone il Martirio di San Sebastiano, musicato da
Claude Debussy, in lingua d’oìl. Uno dei romanzi che ha fatto tanto discutere
la cultura francese degli inizi del ‘900 è stato il romanzo Il fuoco. Romanzo, quasi delle
conclusioni esistenziali e letterarie di D’Annunzio, che è stato tradotto, con
non poche difficoltà e discussioni, da Georges Hérelle, il quale aveva già
tradotto altre sue opere come L’Intrus,
L’Episcopo et Cie, Le triomphe de la
mort, L’enfant de volupté, Les viere
aux roches.
Ma
intorno alla traduzione de Il fuoco
che si apre una significativa discussione sul legame tra testo originale e
traduzione. Il fuoco è un romanzo che
presenta un articolato linguaggio nella sua forma anche sintattica, in cui la
liricità e il vocabolario, in alcune parti, di termini dialettali costituiscono
per il traduttore una interpretazione che ha bisogno di una chiave di lettura
che fa i conti con la visione estetica della parola dannunziana.
Il
linguaggio trasformato nel sublime e nell’estasi di segno prettamente dannunziano
ben si addice ad un confronto con la letteratura francese che accoglie
benevolmente la presenza di una grande scrittore come D’Annunzio, tanto da far
scrivere a Marcel Proust in una lettera indirizzata a Fernand Gregh, datata 3
dicembre 1901, che D’Annunzio è un “grande scrittore” e aveva molto apprezzato
le traduzioni.
È Il fuoco che fa discutere.
Sostanzialmente si tratta del suo penultimo romanzo, che prima di essere
tradotto in volume, vede la pubblicazione, a puntate, sulle pagine della “Revue
de Paris” dal 1 maggio al 15 luglio del 1900. in Italia, infatti,
aveva visto la luce proprio nel 1900.
Perché
Il fuoco si presta ad una discussione
proprio sul piano della traduzione intavolando una vivace discussione con il
suo traduttore Georges Hérelle (1848 – 1935)? Lo si è già accennato. Ma occorre
ribadire che questo romanzo è il romanzo più vissuto da D’Annunzio, nel quale
si racconta la straziante storia d’amore con Eleonora Duse.
Un
senso lirico che doveva mantenere la piacevolezza della scrittura che doveva
unificarsi con la piacevolezza della lettura, oltre al fatto di restare fedeli
ai nome dei personaggi. Ovvero i personaggi del romanzo non dovevano
assolutamente mutare i loro nomi nella traduzione. Una richiesta di completa
fedeltà al testo. Chiedeva il rispetto della impostazione lirica ma anche il
rispetto della lingua italiana.
Con
la Francia ,
comunque, giuntovi, come ebbe a dire, in “volontario esilio”, ma in realtà
perseguitato e inseguito dai creditori con i quali aveva accumulato incendi
debiti, intrattenne ottimi rapporti. Ma nella Francia di D’Annunzio c’è
l’ascoltare i salotti della Serao, di una Napoli “viziosa” ed elegante,
popolare e nobile. Quella Francia è come se fosse una metafora del bello nella
Napoli che, per D’Annunzio, non ha mai perso il senso dell’estetica.
Oltre
i rapporti si potrebbero analizzare i percorsi letterari successivi alla
permanenza di D’Annunzio in Francia. Nei suoi romanzi e nella sua poesia ci
sono intrecci e “correlazioni” che rimandano a quell’Invito al viaggio che è
vitale nel linguaggio dannunziano.
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