Tra gli scrittori che hanno fatto il Novecento con la Grande Guerra
di Pierfranco Bruni*
Ci sono scrittori che hanno fatto il Novecento ed hanno scelto la via della solitudine, del coraggio, della coerenza e della fedeltà ad una tradizione e non scrittori che la sinistra politica e ora il radicalismo culturale hanno innalzato ad icone e considerato scrittori. Ma basta leggere i testi oltre le facili e fragili disinvolture di ignoranze permanenti.
Degli scrittori non scrittori ho deciso di non parlare. Per il momento. La strada è lunga ma anche l’ignoranza non è corta. Parlo degli scrittori che sono tali anche perché è stato pubblicato, di recente, un nuovo testo, con mia prefazione: io e Mauro apparteniamo ad una generazione che nin si è mai smentita ed ha avuto maestri che vanno da Pound a Grisi, su Giovanni Papini. L’irrequieto e solitario Papini. Anzi la grandezza della coerenza.
Papini segnò un percorso preciso nella storia della letteratura in quella del pensiero filosofico del Novecento. Un percorso in cui la testimonianza diventa un rapporto costante tra la vita e la letteratura, e la stessa letteratura, diventa il più delle volte una dichiarazione esistenziale. Il saggio di Mauro Mazza, edito da Pellegrini, dal titolo: “Uomo infinito. La lezione di Papini”, focalizza il percorso di Papini all’interno di un processo di idee che ha segnato la volontà di una generazione non solo ad essere testimone, ma soprattutto protagonista.
L’attualità e l’inattualità sulle quali Mazza si sofferma, in una riflessione a tutto tondo su un Novecento che comincia ad aprirsi ai nuovi “valori” e al nuovo modello di uomo: da quello “finito” a quello della “rivelazione”, costituiscono la chiave di lettura in una temperie che ha vissuto l’intreccio tra moderno e tradizione anche nel contemporaneo. Ma andiamo per ordine su questo Papini di Mazza.
La “Tribuna” fu la sua prima palestra e il suo primo cena- colo. Fu un laboratorio di idee e di incontri. Significativo fu certamente il suo incontro con Giuseppe Prezzolini. E significativi restano indubbiamente le esperienze e i contributi alle riviste come “Leonardo”, “La Voce”, “Lacerba”, “Il Frontespizio”.
Per Mazza “La Voce” resta un crocevia fondamentale del Novecento. E così è. Nella Prima Guerra Mondiale, Papini, e Mazza cesella l’uomo infinito. La Lezione di Giovanni Papini, occupò una posizione interventista. Al 1906 risale “Tragico quotidiano” e al 1907 “Il pilota cieco”. Sono due volumi in cui vi campeggia una letteratura (ma soprattutto una poetica) metafisica. Infatti sono dei veri e propri “racconti metafisici”. Al 1911 appartengono i racconti racchiusi in “L’altra metà” e all’anno successivo i racconti “Pagine e sangue”.
Tra gli altri scritti non si può non ricordare “I testimoni della passione” del 1937, “Concerto fantastico” del 1954 e alcuni scritti pubblicati postumi come “La seconda nascita” del 1958 e i “Diari”. Pubblicò testi di poesia e numerosi testi di saggistica come “Il crepuscolo dei filosofi” del 1906, “Il mio futurismo” del 1914, “Stroncature” del 1916, “Italia mia” del 1939, “Santi e poeti” del 1948, “Il diavolo” del 1953 e altri scritti usciti postumi.
Mazza si era già soffermato su Papini ponendo all’attenzione una questione sia storica che esistenziale. Quella “penna arrabbiata”, come afferma Mazza in un suo capitolo, costituisce l’anima critica non solo di un intellettuale, ma di un secolo. È chiaro che uno dei testi che segna inevitabilmente la vita di Papini è certamente “Storia di Cristo” che porta la data del 1921.
Un testo vissuto completamente sulla sua diretta esperienza umana e religiosa. È uno scritto che pubblicizza sostanzialmente la sua conversione al cattolicesimo. Papini era un ateo intransigente. La Storia di Cristo racconta appunto il suo accostamento alla religione cattolica. L’opera più conosciuta resta indubbiamente Un uomo finito che risale al 1912. Si tratta di un’autobiografia in cui il narratore fa una resa dei conti della propria vita.
Così sottolinea: «Che cosa volevo imparare? Che cosa volevo fare? Non lo sapevo. Né programmi né guide: nessuna idea precisa. Di qua o di là, est od ovest, in profondità o in altezza. Soltanto sapere, sapere, saper tutto. (Ecco la parola del mio disastro tutto!). Fino d’allora sono stato di quelli per cui il poco o la metà non contano. O tutto o nulla! E ho voluto sempre il tutto – e che niente sfugga o resti fuori! Completezza totalità – più niente da desiderare, dopo! Cioè la fine, l’immobilità, la morte!».
L’anticonformismo che traccia la linea dell’intelligenza dell’eresia. Mazza dedica un capitolo a “Prezzolini, l’anticonformista”, un capitolo che si apre a chiavi di lettura significative. In Papini d’altronde la consapevolezza della crisi è la ritrovata memoria.
In “Storia di Cristo” c’è questa ritrovata memoria che non è più attesa ma coinvolgimento di una sperata e definita consapevolezza. Ma è proprio dall’Uomo finito che si arriva al Cristo della Resurrezione. Mazza su questo si sofferma con acutezza. I punti di maggiore riferimento sono in questi due testi che “nascondono” una profonda e silenziosa “umanità”. Ovvero in “Un uomo finito” e appunto in “Storia di Cristo”. C’è una tensione che non è soltanto letteraria.
Negli anni successivi questi due testi si apriranno ad una chiave di lettura forte- mente esistenziale. Dalla crisi alla risoluzione della crisi. Dall’impossibile vuoto alla pienezza dei contenuti. È questo il percorso che si raccoglie in una metafora che si legge in un suo racconto dal titolo: “Due immagini in una vasca”: «Quando la gioia mi assale con le sue stupide risa io penso che sono il solo uomo che ha ucciso se stesso e che vive ancora. Ma ciò non basta per farmi stare serio».
Ecco, tra le idee sfreccianti, ciò che resta, tra le altre visioni culturali e umane oltre il religioso senso della vita. In un suo scritto (si tratta di una Introduzione a “Lo specchio che fugge”, raccolta di racconti di Papini, Mondadori) Jorge Luis Borges scrive: «Potremmo rimproverare a Papini il fatto che i suoi personaggi non vivono al di fuori della finzione che successivamente animano.
Questo è un altro modo di dire che il nostro scrittore fu inguaribilmente un poeta e che i suoi eroi, sotto molteplici nomi, sono proiezioni del suo io». Si tratta di una sottolineatura importante perché ripropone Papini nella sua completezza e nella sua complessità. E ripropone il Papini poeta. Ovvero la metafora della poesia attraverso una tensione esistenziale che supera la fisionomia dei conflitti. In una sua poesia Papini recita: «…Ma quando al finire del giorno/ ritrovo, stracco e freddo, la fossa della strada/ nella mezzombra lilla del ritorno,/ sono il povero triste a cui nessuno bada».
Questi versi risalgono al 1917, alle “Venti poesie” di “Opera prima”. Il Papini successivo non è soltanto lo scrittore della “redenzione”, è anche lo scrittore di quel gioco nostalgico che vive la malinconia del tempo su una dimensione che è anche, come ha sostenuto Borges, intrecciata da quei segni fantastici fatti di crepuscoli e di sogni.
Un libro, questo di Mauro Mazza, che ci permette, in questo nostro tempo, di rileggere e anche ricontestualizzare uno scrittore e un filosofo che supera il tempo della leggerezza e della fragilità, per vivere e farsi vivere in quella metafisica dell’anima tanto cara a Maria Zambrano. Ma è un libro che attraversa il pensiero di un Novecento inquieto.
Papini uomo inquieto in un Novecento inquieto da D’Annunzio a Cardarelli, da Prezzolini a Gentile, da Grisi a Berto.
Foto: Pierfranco Bruni e Mauro Mazza: una generazione che non si è mai smentita.
* V. Presidente Nazionale del Sindacato Libero Scrittori
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