di Pierfranco Bruni
Siamo in pieno Centenario del Genocidio Armeno. Una memoria che si decifra nella storia di una tragedia. Non dobbiamo dimenticare. Abbiamo il dovere di non di non dimenticare. Il sentimento del rispetto è il vissuto che si fa memoria da condividere soprattutto in un contesto come quello che stiamo vivendo. La cultura armena è una di quelle presenze etniche che andrebbe studiata con più attenzione e con un particolare riguardo soprattutto ai processi antropologici e religiosi che hanno una profonda matrice cristiana. Non può essere più non considerata una cultura a sé rispetto a quelle che vengono normalmente tutelate da una legge che salvaguarda e valorizza le lingue minoritarie (ma con le lingue chiaramente entrano in gioco anche gli aspetti etno – antropologichi e letterari.
Mi riferisco certamente ad una cultura che ha antiche radici e ad una “minoranza” che va considerata storica. Ha un patrimonio artistico e letterario abbastanza consistente e considerevole anche dal punto di vista di una letteratura che ha saputo esprimere una forte tensione sia politica che esistenziale.
Il più delle volte la presenza armena in Italia e in Europa la si fa risalire intorno ai primi decenni del Novecento in riferimento al massacro e al genocidio degli Armeni riferito al 1915 (c’è da precisare che il termine “genocidio” risale al 1943 e il termine fu creato da Raffaele Lemkel e si riferiva, allora, esclusivamente allo sterminio degli armeni durante la prima guerra mondiale) ma in Italia la loro presenta la si può registrare anche in quel patrimonio storico – artistico che è diventato un dato tangibile di una testimonianza che parla attraverso una griglia simbolica.
Uscendo dalla storia e dalla tragedia della storia del genocidio (fatto e dato che comunque resta sempre profondo e determinante nell’anima di un popolo) la dimensione cristiana del popolo armeno è dentro una manifestazione espressa dalle strutture che rappresentano il cammino o la diaspora di un popolo che si è trovato a vivere tutti i passaggi della temperie ottomana, musulmana e turca.
Su questi temi abbiamo scritto un libro io e Neria De Giovanni con il contributo di Annarita Miglietta, Maria Zanoni, Mary e Manuela Avakian e Giancarlo De Pascalis dal titolo “Le parole per raccontare. Gli Armeni. Storia, cultura e letteratura”, Nemapress. Un libro che raccontare.
Gli Armeni, una piccola geografia tra i paesi russi e turchi, ha sempre cercato di integrarsi all’interno di un mondo profondamente euro – occidentale. Un dialogo mai interrotto tra la lingua e l’etnia e ciò lo si evince proprio dai codici letterari che costituiscono una delle chiavi di lettura più importanti per tentare di capire la spiritualità e la tensione umana dei passaggi epocali vissuti dal popolo armeno. Il mondo musulmano – islamico e il comunismo hanno lacerato il popolo cristiano armeno.
In “Pietre sul cuore – Diario di Varvar, una bambina scampata al genocidio degli armeni”, a cura di Alice Tachadjian (Sperling), si può leggere: “…quando ancora ero una fanciulla/e ho cominciato a parlarti,/mia lingua armena,/a partire da quel giorno/come un gioiello ti ho stretto al cuore”.
La lingua come fenomeno condizionante in un processo in cui l’elemento etnico è dentro una identità cristiana e la lingua è la rappresentazione di una eredità che non può perdersi, che non può andare persa, che vive dentro i luoghi del pensare di una civiltà.
In fondo è una questione che tocca tutte le minoranze. I due riferimenti certi per non disperdere il vero valore de un popolo è nella tradizione e la tradizione si esplica sia grazie alla religione sia grazie alla lingua. Ancora nel testo citato si legge: “…in esilio, la religione e la lingua sono la garanzia della sopravvivenza di un popolo”. Dove vengono meno questi due “porti” viene meno la matrice ereditaria anche se alcune volte è necessario condividere una osservazione che recita: “Cerca di dimenticare, perché, se ricorderai, non potrai più campare.
La nostalgia è la più grave delle malattie, per noi immigrati”. La nostalgia è un concetto chiave nella visione antropologica delle minoranze. Perché queste minoranze non vivranno più realmente la geografia del ritorno. E il ritorno stesso diventa una “assonanza” mitica nell’esistere dei popoli minoritarie che hanno abbandonato il proprio Paese di origine. Il popolo armeno è stato attraversato da passaggi tragici. Non vanno dimenticati. Restano in una memoria le cui radici hanno una profondità fortemente cristiana. Questa cristianità oggi ha un forte senso sia storico che esistenziale proprio nella lacerazione tra Occidente ed Oriente.
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