Sebastiano Vassalli Pierfranco Bruni |
Ma una cosa è certa. Questo libro rompe
con un pensiero letterario debole, che è quello che ha accompagnato i dibattiti
di questi ultimi anni. La letteratura, in altri termini, non è l’altra
ideologia ma non è neppure l’anti - ideologia. La letteratura è il mistero.
Dice bene Vassalli. La poesia è un miracolo. Un libro straordinario. Appunto
dirompente perché è fatta di anima e di testimonianza spirituale. E in questo
percorso si serve della lettura di alcuni autori: Omero, Qohélet, Virgilio,
Jaufré Rudel, Villon, Leopardi, Rimbaud.
Riferimenti forti per porre
all’attenzione l’importanza di una letteratura che ha richiami antichi che
vengono proiettati all’interno del contemporaneo. Si tratta, dunque, di un
libro diverso. E’ chiaramente un riferimento sul quale si potrebbe aprire un
intelligente e robusto dibattito. In fondo Vassalli apre, con queste
indicazioni, una chiave di lettura su tutta la letteratura.
La letteratura è un viaggio. Con la
letteratura si compie un viaggio e viaggiando si penetrano i labirinti
dell’anima in un tracciato in cui il tempo costituisce una dimensione
certamente immateriale ma anche metafisica. Il tempo si percepisce come luogo dell’essere.
Così in Vassalli. Il quale attraversa lo sperimentalismo e vive le avanguardie
recuperando la memoria e la tradizione sia estetica che linguistica.
La
letteratura abita il luogo dell’essere grazie a delle visioni che partecipano
ad una interiorità che si manifesta attraverso i segni. La parola e il
linguaggio sono elementi non solo introspettivi ma onirici. La letteratura ha
bisogno della metafora per costruire la zattera che dovrà navigare i mari
dell’indefinibile. Come Ulisse. O meglio come Omero che ha definito i
personaggi inafferrabili lungo quelle tappe che lentamente e con l’agonia
dell’attesa impongono, nella nostalgia assordante, il ritorno. Avevamo dedicato
un numero monografico di “Microprovincia”, la rivista diretta da Franco
Costabile, a Vassali nel 2011.
Nel ritornare non ci si dimentica. I miti
e la storia sono dentro la letteratura. Perché se la letteratura non ha come
visione e come orizzonte il viaggio e il sentimento del viandante non può
contenere il senso della parola che si radica nella fisionomia del personaggio
e nella simbolicità dei linguaggi. I simboli danno respiro alla poesia. I
personaggi, prendendo spunto da Vassalli, delineano le storie in una avventura
che chiede di farsi destino. Omero resta antico ma è anche contemporaneo e
Ulisse non è uno specchio (in letteratura non può vivere lo specchio: si frantumerebbe
al primo colpo di vento o di onde appena pronunciata) ma una maschera.
La letteratura è fatta di maschere perché
sa bene che per vivere il labirinto (e vivere nel labirinto con la
consapevolezza però di uscirne fuori) non può fare i conti con la realtà ma
deve superarla servendosi di quei fantasmi che si agitano nel cuore. I fantasmi
sono un brivido delle finzioni. Ulisse è afflitto dai fantasmi e si serve delle
finzioni ed è per questo che ama la maschera. Il labirinto è uno strumento
della metafora del viaggio. Il mare per Ulisse è il labirinto. Ma serve per
darci la consapevolezza del ritorno. Il ritorno di Ulisse è la maschera della
letteratura dentro il tempo della memoria.
Ma
cosa è la scrittura? Vassalli ci sottolinea delle attente cesellature. Nel libro “Un infinito numero” Timodemo, il segretario
di Virgilio, quasi a
conclusione della vicenda narrata chiosa: “La scrittura … può durare (e di
solito effettivamente dura) ben più di chi se ne serve; e ci può dare quell’illusione
di immortalità che più di ogni altra illusione passata o presente ha abbagliato
gli uomini della mia epoca. Virgilio, Orazio, Properzio, Agrippa, Mecenate e lo
stesso Augusto, si sono riscaldati alla luce di quell’illusione; e hanno creduto
di poter vivere oltre la morte fino a diventare immortali, rispecchiandosi
nella loro scrittura o in quella degli altri…”.
Il tempo
nello spazio è un processo di ripresa dei codici valoriali della memoria –
simbolo. E’ su questo che si gioca l’essere della parola che assorbe l’infinito
dei numeri – codici o l’infinitezza dell’immensità della parola – sogno –
malinconia. Nel vocabolario dello scrittore i segni si traducono, appunto, in
tempo. La scrittura serve a vincere il tempo?
Sempre
nel libro citato c’è il personaggio di Aisna che invita a cena, nella sua
dimora, Virgilio e Mecenate. A un certo punto sbotta: “Voi credete che la
scrittura serva a vincere il tempo (…) e che gli dei ve l’abbiano concessa in
un momento di particolare benevolenza, per rendervi partecipi della loro
eternità: ma posso dimostrarvi che siete in errore. La scrittura è stata
inventata da Mania, la dea delle ombre e della menzogna; e il démone che la
governa è Tuchulcha, il dio – cadavere, l’essere più malvagio con cui i Rasna
abbiano dovuto lottare nei dieci secoli della loro esistenza”.
E poi
aggiunge: “La scrittura uccide…”. Ecco allora i termini della metafora –
illusione che si trasformano in metafora – finzione. Il linguaggio dello
scrittore è una finzione che attraversa le dimensioni della fantasia e si
colloca nel desiderio – passione della malinconia – trasposizione. In fondo la
scrittura nel vocabolario è una trasposizione di fattori esistenziali e
psicologici che cercano di offrire un tentativo di salvezza allo scrittore
stesso. Uccide perché? Perché vorrebbe annientare il tempo oppure vorrebbe
superarlo.
La letteratura contemporanea, in fondo, è
legata a questa metafora come resta legata ad un altro personaggio del mito,
ovvero ad Enea. Virgilio ha percorso il dramma della profezia nella meditazione
della morte. Ulisse e Omero definiscono il ritorno nell’attraversamento del
labirinto. Enea e Virgilio annunciano un destino che verrà. Il mare come
essenza della nostalgia e come rappresentano della memoria.
La
letteratura è una rivelazione di modelli simbolici. Se il mito resta
fondamentale nel viaggio laico il sacro è la certezza emblematica nel viaggio
cristiano (e religioso in termini più ampi). Certo, Ulisse ed Enea sono il
pellegrinaggio nel mito. La Bibbia non chiede ragione ma contemplazione.
Si pensi a Qohélet. L’Ecclesiaste. “C’è
il tempo di nascere e il tempo di morire/Il tempo di piantare e il tempo di
estirpare/Il tempo delle lacrime e il tempo delle risa/Il tempo dei gemiti e il
tempo dei balli”. Il tempo della poesia è il tempo della creazione. Quando i
fantasmi cominciano a danzare le parole sono la voce dei simboli e si
dichiarano. C’è sempre una guida nascosta, ci sono sempre dei segreti, ci sono
sempre degli sguardi che si intrecciano nella ricerca e nell’attesa. Forse la
stessa parola è un labirinto o un Tempio.
Ha scritto Sebastiano Vassalli in “Amore
lontano”: “L’unico miracolo che si compie dai tempi di Omero e da prima ancora,
e che non può essere dimenticato o messo in dubbio perché chiunque può farlo
rivivere con la lettura, è quello delle parole che trattengono la vita. E’ la
poesia”. La poesia come elemento fondante in un processo che pur avvertendo
istanze culturali è nel gioco delle immagini di una fantasia che conosce la
sofferenza della parola. Ed è proprio questa sofferenza che permette alle corde
del cuore e dell’anima di vibrare.
Ancora Vassalli: “La poesia è vita che rimane impigliata in una trama di
parole. Vita che vive al di fuori di un corpo, e quindi anche al di fuori del
tempo. Vita che si paga con la vita…”. Dunque un processo che ci conduce al
centro di un viaggio. Di quel viaggio che non può focalizzarsi nella storia ma
nella frammentazione dell’universale sentire il senso e l’orizzonte dentro il
quale il tempo si fa essere. Se la letteratura è un navigare nel labirinto il
poeta e lo scrittore non possono che considerarsi dei viandanti che cercano di
avvistare la luna o un bagliore di luce, l’alba o un chiarore mattutino per
porgersi verso l’uscita del labirinto.
Vivere dentro il labirinto è cercarsi
nell’inquietudine. Il mare e il deserto sono, appunto, una metafora. Il Ritorno
o la Terra Promessa sono manifestazioni di una metafisica dell’io che è
dimensione ontologica. In fondo “La poesia è ciò che mantiene nel tempo le
nostre poche consapevolezze. E’ ciò che il Dio della parola ci rivela di sé,
per frammenti e lampi di significato. L’immagine complessiva di Dio, cioè il
suo volto, noi non lo vedremo mai; e non sapremo cosa racconta il poema
dell’universo…”.
Bisogna affidarsi a questo misterioso
incantesimo che raccoglie le particelle del nostro sentire e i frammenti del
nostro essere. La letteratura è un essere, un sentire, un ascoltare le voci di
dentro, una lontananza, una memoria, un amore… Come quella verso Dino Campana…
Nessun commento:
Posta un commento