BENVENUTI

sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

mercoledì 17 settembre 2014

Il Mediterraneo nella Romania di Vintila Horia raccontando Socrate e la Magna Grecia

di Pierfranco Bruni

Nel Mediterraneo di Vintila Horia ci sono il Danubio e i Balcani.  Scrittore nato a Segarcea, Romania, il 18 dicembre 1915 e morto a Collado Villalba il 4 aprile 1992, ha raccontato la metafora e la “geografia” di un rapporto non solo  storico ma soprattutto “esistenziale” tra Occidente ed Oriente. “La settima lettera” è un “documento fondamentale”.
Il concetto di Occidente e di Mediterraneo è un intreccio in cui il sentimento della tradizione si apre a ventaglio su alcuni processi culturali che hanno caratterizzato e contraddistinto le civiltà nei vari passaggi epocali. Ma c'è ancora un altro testo di Horia in cui la metafora della latinità e della grecità (l'antico scontro tra Oriente ed Occidente oggi attuale) assume una valenza non solo storica ma anche esistenziale. Mi riferisco a “Dio è nato solo”.
      Questo romanzo è stato scritto nel 1958 e si tratta di un romanzo metafora. Vi si racconta il dramma dell’esilio di Ovidio che era stato trasferito da Augusto sul Mar Nero. Vintila Horia appartiene alla classe del 1916. Dalla Romania andò esule, come si accennava, in Francia proprio quando il suo Paese fu attanagliato dalla morsa dei comunisti. Vintila Horia è l’autore di testi (ne cito solo alcuni) come “Il cavaliere della rassegnazione”, come “Considerazioni su un mondo peggiore”, come “La rivolta degli scrittori sovietici”. Oggi si presenta come un testimone fondamentale per capire il senso di una civiltà dell'Occidente.

      Hanno una grande attualità, oggi più che mai, queste sottolineature e danno il senso di
una letteratura profetica che ha tracciato un percorso in quella visione che è visione dell’ereditarismo del ritorno: “E poiché oggi viviamo in una situazione di vampirismo post – marxista, come i nuovi filosofi, quello che ci fa male, quello che mi fa tanto male da non voler avere niente a che fare col mio tempo, con questo tempo da vampiri, è proprio la strategia dell’esistere che abbiamo ereditato, come una specie di lascito avvelenato, dal marxismo moribondo”. Così in “Considerazioni su un mondo peggiore”.
      Il Mediterraneo, il tema caro a Horia, in fondo, è l’ulissismo che si legge anche in molte pagine del testo appena citato. La tradizione il mito sono modelli che fa rivivere nel libro dedicato a Platone, in cui la filosofia del viaggio diventa la filosofia dell’appartenenza e del ritorno. Metafore che hanno caratterizzato quella letteratura del destino che vive in Vintila Horia.
      Si ripropone, dunque, un testo di Vintila Horia il quale costituisce un emblematico intreccio tra la Grecia e il contesto del Mediterraneo in un approccio tra Occidente ed Oriente Mediterraneo. “La settima lettera” (pubblicata nei Bur della Rizzoli) è una testimonianza non solo simbolica di un Platone che ha nostalgia del suo Socrate ma rappresenta un anello di congiunzione tra una memoria greca e uno straordinario percorso Magno Greco. Tutto vissuto comunque all’interno di un concetto chiave che è quello del sentire mediterraneo. Siracusa è un riferimento per Horia – Platone ma ci sono i popoli che si inseguono in un contesto di sentimenti quali sono appunto quelli della nostalgia.
      Il Mediterraneo nel lungo viaggio. Horia – Platone: “Ma era anche un territorio di dolore, come ogni luogo abitato dagli uomini. Me ne resi conto il giorno in cui, viaggiando verso Siracusa, sostai a Crotone, per inchinarmi davanti alla tomba di Pitagora, figlio di Apollo, nostro maestro”. La civiltà greca è una cultura che si rinnova, attraverso il recupero dell’antico nel moderno, tra gli usi, i costumi e i modelli comportamentali nella vita del quotidiano. E rinnovandosi ritrova il suo senso e la sua appartenenza in un processo che non è soltanto culturale ma diventa etico ed esistenziale. Ma la civiltà greca ha assonanze di ritorno che provengono da quelle tradizioni che hanno disegnato i “valori” della Magna Grecia.
      Taranto, Crotone e Siracusa. Un arco geografico che si legge nei rivoli di una appartenenza dell’identità di una grecità che solca ancora i nostri passi. Quella che una volta era la Magna Grecia si legge nei trapassi di una nostalgia che recita angoli di memoria nel tempo che intreccia destini. La Magna Grecia continua a parlarci con i suoi colori, con le sue stagioni, con i suoi risvolti onirici. Pitagora era un riferimento in quel territorio della nuova Grecia. Un riferimento che continua a condizionare un processo di civiltà tra i tasselli di una eredità mai scomparsa.
      Riferendosi a Taranto Horia fa dire a Platone: “Fui benissimo ricevuto e da Archita e dai suoi. La città, bella e ricca, dominava mari calmi e azzurri come i nostri. Quella terra era la nuova Grecia ed io ero curioso di conoscerla; infatti Ioni e Dori vi avevano preso piede da poco tempo, ne avevano moltiplicate le ricchezze, e costruito città su tutta la costa meridionale dell’Italia, empito di ellenismo la grande isola siciliota, vinto Atene, infine, perché Taranto era l’alleata di Siracusa e questa aveva inghiottito i nostri eserciti e le nostre navi. I popoli vivevano là nell’opulenza, nonostante le guerre che li dividevano, nonostante i gravi pericoli e minacciavano tutti”. E poi: “Taranto costituiva ancora l’ultimo punto d’appoggio riconosciuto dei pitagorici, la sola città dove la dottrina del maestro, divenuta legge fondamentale dello Stato osasse vivere in piena luce”. Nel cerchio della Magna Grecia i destini si intrecciano e si fanno vita.
      Ci sono i viaggi e i passaggi. Ma c’è anche una visione della politica nel gioco infernale vissuto da Socrate e testimoniato, in questo caso, da Platone. Taranto era alleata di Siracusa. E nonostante le bellezze dei territori, l’azzurro dei mari, la leggerezza della nuova Grecia si ragionava di politica. Mutano i contesti temporali ma il discernere sulla utilità o inutilità della politica resta e resta anche l’annoso conflitto tra politica e cultura. Un fatto vecchio (più che antico).
      Socrate ricordato da Horia in questo suo testo su Platone ricorda quello scontro che lo portò alla cicuta: “…se mi condannate è a voi stessi che farete torto. Non potete raggiungermi; infatti penso che non sia possibile a un uomo superiore essere leso da un essere inferiore”. Socrate preferì la cicuta. Le bellezze delle città (da Taranto a Siracusa: il viaggio percorso da Platone) e la nostalgia dei popoli nulla possono contro le altrui inferiorità e Socrate non disdegnò di finire i suoi giorni nonostante le “suppliche” di Santippe. Vintila Horia ha saputo costruire con intelligenza e con passione questa “settima lettera”. Ma a chi è rivolta premesso che, come dice Luciano Canfora, la vita quotidiana dei filosofi greci è comunque “un mestiere pericoloso”?  
      Platone ne “La Repubblica scriveva”: “ - Ma, tra i presenti governi, qual è quello che secondo te, conviene alla filosofia? –Nessuno, risposi”. E ne La settima Lettera a conclusione si legge: “Se il Dio non torna per guidare le loro mani e le loro menti, saranno nuove Latomie che essi scaveranno sotto terra, pur credendosi fedeli al mio insegnamento, pur immaginandosi di costruire nella luce della giustizia”.
      Ancora Horia: “La morte di Socrate lasciò un vuoto immenso nel mio cuore, ma già avevo capito che ogni cosa aveva un senso, la vita come la morte, e che io dovevo agire secondo quanto mi era stato rivelato e secondo le forze che mi erano state date. Mi ero accorto, nel guardare intorno a me, che i costumi si corrompevano, che il male continuava a fare visibili progressi e che tutti gli Stati, Atene inclusa, erano governati male. Bisognava tutto ripensare e tutto rifare; bisognava anche vi fosse, pensai, un uomo capace col suo esempio di menare a buon fine la pesante impresa”.
      Tutto ci parla con le tracce di una memoria che sono il costato di questo tempo moderno che si interroga e che chiede una motivazione di identità per intagliare nel quotidiano un gesto di appartenenza. La grecità e la Magna Grecia continuano a vivere non solo nella nostalgia ma nel tempo che solca le memorie del futuro. I viaggi costituiscono non solo una metafora ma la penetrazione dei luoghi di un sentire che è storico e umano.
      Storia e memoria sono dentro l’esistere delle civiltà e dei popoli. Ritrovarsi in questi percorsi è ridare senso ad un orizzonte che non si ferma solo nella storia ma prosegue e va oltre.  Horia: “Pitagora e Socrate non avevano scritto nulla. Avevano formato con le loro mani anime nuove, vissuti com’erano in un tempo umano in cui tutto si insegnava per trasmissione diretta”. Si trasmettono esempi e testimonianze. In questo tempo che si cerca, nei viaggi perduti e ritrovati, la storia si allontana e la memoria raccorda i destini con la recita del futuro. In questo testo Horia raggruppa tutti gli elementi della tensione letteraria e intreccia la metafora storica con la fantasia.
      Da qui il grande scrittore. Lo scrittore che sa mettere insieme le sensazioni e la ricerca della raffinatezza. Scrive così Dario Del Corno nell’Introduzione a “La settima lettera”: “Horia non è un artista sommo: è un romanziere che conosce e usa con perizia gli strumenti del suo mestiere, e si lascia coinvolgere dal suo tema, fino a impossessarsi del protagonista come se fosse una propria creatura. Per un paradosso soltanto apparente, l'arbitrio dell'autore è anche la fortuna del suo pubblico”.
    Horia è stato amico di Giovanni Papini, di Mircea Eliade, e di Emil Cioran. È stato  uno scrittore che ha saputo penetrare le memorie delle civiltà e ha saputo renderle vive nel tempo che intreccia non la storia, ma le storie. In fondo questo nostro Occidente ha ancora diverse storie da raccontare. Nel racconto di esistenze e di nostalgie.  

Nessun commento:

Posta un commento