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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

domenica 28 dicembre 2014

Una donna tra il Rinascimento e il Barocco: Pedra Francisca de La Valle.

Una donna tra il Rinascimento e il Barocco: Pedra Francisca de La Valle.
Di notte, nell’albeggiare delle stelle…
 di Pierfranco Bruni

Lo sguardo. Gli occhi. Pedra Francisca de La Valle. Recita con lo sguardo. Con gli occhi. Poetessa nata  probabilmente a Siviglia nel 1555 o 1556. Non si hanno precise notizie sulla data di morte, ma i suoi versi, siamo a conoscenza soltanto di 21 poesie tradotte in italiano dallo spagnolo, tra il semi – sonetto e un verseggiare libero, portano come data ultima il 1629. Muore, dunque, a 74 anni.
Dall’ultima sua poesia, datata, appunto, 30 ottobre del 1629, si evince una scrittura molto ferma il cui contenuto ha richiami di una tragica malinconia, tanto da far supporre che Pedra Francisca de La Valle si sia tolta la vita contemplando il mare Jonio. Sullo Jonio visse i suoi ultimi anni.

Ci sono elementi che rimandano ai luoghi geografici della Magna Grecia e al mare Greco Le sue notizie, dopo numerose ricerche, sono molto scarse.
Ci è pervenuta soltanto questa minima raccolta, la cui parola, comunque, poeticamente ha un senso. Ha un titolo che è ripreso da una sua poesia: “A ritornar non posso”.
Il tempo, l’amore, il tentativo di interpretare il mistero sono tre aspetti che si trovano spesso nei suoi testi. Aspetti significativi che si legano ad una costante che è il mare.
Pare che la poetessa abbia lasciato all’età di 15 anni Siviglia e abbia abitato, con i genitori, una piccola casa nelle campagne di Todi, in Umbria.
Qui, profondamente legata alla santità di San Francesco d’Assisi, dedica al Santo più di una poesia. Alcuni suoi versi fanno ascoltare l’eco di Jacopone da Todi e la speranza è un battello che accompagna la poetessa sino alla fine anche se il sentimento di morte si lega fortemente a quello dell’amore.
Dopo Todi pare che abbia visitato la Calabria e sia stata anche in Puglia, fermandosi per alcuni anni nei pressi di Metaponto. In queste terre ha consumato gli ultimi anni della sua vita. La dimensione dell’amore è punto centrale nella sua poesia. Da un amore in cui la sensualità è ben marcata, si passa ad un amore contemplante, in cui la preghiera ha una forza spirituale notevole.
La spiritualità è tutto, sembra dirci Pedra Francisca. Nella spiritualità si può vivere la bellezza. Ciò che è assente, rispetto ad un inizio “francescano” sono gli elementi della natura, il dialogare con la natura, il rapportarsi con le “creature” e il suo cantico, perché, in fondo di cantico si tratta, hanno sia una carnalità sofferta, ovvero una fisicità, sia una ricerca interiore che trova nella luce della metafisica una chiave di lettura importante.
È una poetessa che si è formata in un clima metà rinascimentale ma è una visione di un Rinascimento che dialoga, storicamente e culturalmente, con il Barocco. Da questo punto di vista è una poetessa che sembra anticipare anche modelli che saranno foscoliani e religiosamente annuncianti quella “Grazia” che sarà successivamente di Manzoni. È naturale che conoscesse il linguaggio e la poesia di Dante Alighieri e dei poeti provenzali.
D’altronde, il Rinascimento dovrà fare i conti con il tardo Medioevo per determinare un passaggio fondamentale che è quello linguistico. Pedra Francisca de La Valle è una poetessa nel mistero di una biografia e tutto ciò che si può dire, soprattutto oggi, è ricavabile dalle 21 poesie più tre versi, di cui siamo in possesso.
Il poeta vive oltre la sua storia ed è come se non avesse bisogno di una sua storia, ovvero di una biografia. Così è. E se è così non ci resta che leggere i suoi testi e cercare, è sempre un tentativo, di penetrare quelle sue parole che hanno un senso certamente, ma sono solo le sue parole che recitano la sua vita e da questa recita si ha bisogno della fantasia per percorrere un cammino dentro il suo vissuto. In fondo a ritornar non posso senza lo sguardo che vive gli occhi…

POESIE DI PEDRA FRANCISCA DE LA VALLE (INEDITE) –
 Le poesie sono datate 1599 – 1629) 
A ritornar non posso
A CURA DI PIERFRANCO BRUNI












Lo sguardo…

Lo sguardo. Gli occhi.
Non raccogliere i miei sguardi.
Li custodisco nei  miei occhi…

Albeggiare di notte

Di notte, nell’albeggiare delle stelle
Mi sovviene lo sguardo tuo,
Come arcano,
Nel pianto delle ombre.

Se or ti vedo,
Maestoso come mare,
Le onde tue
Hanno tempeste.

Perché giammai
Trafiggermi dovresti?
Se il cor mio è in te perseverante?
Altro silenzio,
Io cercarti nell’assenza tua
Per amarti.


Nella sabbia della preghiera

Religiosa e stanca
Nel tempo,
Mio Francesco, Santo d’Assisi,
A raccontarti mio destino,

Sul colle,
Al vento della Croce,
Maddalena tocca,
Con lo sguardo di Cristo, il mio sguardo.

Ma giammai,
Sulle mie mani,
Nasconderò
Rovi di sangue.

Ho solo Grazia
Per la cenere dei sepolcri
Nella sabbia della preghiera.


La solitudine mi custodisco


Se le terre, nei mari fluttuanti,
Hanno scavato
Il mio pentimento
la solitudine mi custodisco.

Per reggere il legno
Ho visto il vento
Incontro pesarmi,
Con i suoi passi.

Ho il viaggiare negli occhi,
Se gli occhi
Ascolteranno.

Tanto pare,
Nelle acque fresche,
il tuo volto.


Mi obbligherò alle partenze


Stelle sul Mare dei Greci,
Jonio veder la mia morte,
Come luna,
Senza la sera.

Mi appiglio ai fulmini
Del vento,
come speranza
di speranza apparir non so.

Se di speranza
Io non raccoglierò il ritorno,
Mi obbligherò alla partenza.


Di venti il ricordo io abito


Più non dovrò raccontar l’isola
Dove io non sono nata.
Ma di nascer in terra
Di venti il ricordo io abito.

Perché mai dovrei
Accogliere le lune che in ciel
Sollevan pensieri miei
Come spade di pietra.

Il tempo è altro
Se a contar le ore
Io non finirò
Ma la mia morte ha un silenzio ancora.

Su queste rive di acque Greche

Mio Santo,
A parer del mio pregare,
consumato ho
le membra tutte.

Ma su queste rive,
Di acque Greche,
Io perduto non ho
Il pianto mio misero.

Di solitudini le mie notti

Erbe al vento volteggiate,
Come foglie
Di autunno,
Appassite ormai.

Io mistero non ho,
Ma di solitudine
Le mie notti
Hanno il pianto.


Dal Greco mar

Dal Greco mar
A scorgere colonne
Di profughi acerbi
Io ho veduto.

Come uomini
Nel navigar
Ho costeggiato il destino mio
Con gli occhi dei lamenti.


Udite il mio pianto


Genti,
Che udite il pianto mio,
A raccontar il mio destino
Non posso.

A pregare
Lo strazio degli inferi,
Per morir d’amore,
Come in esilio ho pianto.


Ho strappato un Padre nostro

Sulla soglia
Il tempo non mi ha risposto,
E perché
Rispondermi dovrebbe?

Io sospesa,
come argilla senza acqua,
a raccogliere memorie,
ho strappato un Padre nostro.














Tra l’Orto degli Ulivi


A dir di pietà
La Grazia mi sostiene,
Ma  a voler pregare Dio mio
Io son degna?

Misericordia io dissi,
Al tempo che ho tra le rughe delle mani,
Per porgerti Dio mio
Il mio silenzio.

A dir di pietà
Io ritrovarmi nei luoghi della pena non posso,
Come luna spezzata
Tra l’Orto degli Ulivi.

Lo spazio di una lacrima

Per pregare
Io ho dono nel cantico del miserere,
Ma giammai dovrei custodire
Lo spazio di una lacrima.

Come stella caduta,
Io ho riflessi ceduti
Alle genuflessi onde
Di acque che recidono il giorno.


Se il silenzio è una parola sola

Ad amore e morte
Ho dato la vita mia.
Sulle rive d’orizzonti
La pietà ha i chiodi.

Di Cristo mi raggela la misericordia.
Io che di misericordia ho smarrito l’altare.
Di infedeltà ho taciuto  il mio correre
Or ora che il silenzio è una parola sola.

Se ad esilio son destinata

Novi sogni
In primavere di mare,
Io leggo
Per le distanze dei miei esili.

Ma se ad esilio son destinata,
Devo pur cancellare il suono del martello
Nelle notti di veglia riconduco
A te la mia anima.

Nel sonno dissipato

A morir io penso
Nel sonno dissipato
Dall’alba che ha le stelle, ad una ad una,
Come pioggia sullo Jonio.

Ogni nebbia ha il suo parziale perdono,
Ma se di perdono ho nel buio le voci,
Al silenzio mi inchino
Per le solitudini che restituisco.

A ritornar non posso

Camminar io devo
Per ogni dove,
Ché stringe d’attesa
Amor mio diletto.

A ritornar non posso,
E non devo,
Ma a cercare io domando
Se d’amor io vivo d’amor io mi muoro.

Il volto tuo risorto

Oh mio diletto
Se per cortesia io parola non ti rivolgo,
Ozio non ti domando
Per amor che mi duole.

Se per troppo amore
Mi duole il petto
La speranza mia
È il volto tuo risorto.


Nello splendore tuo


Splendea di te la bellezza tua,
Con assorto animo
Giungesti
Al cor mio.

Ma di troppo mio indugio
Io pagai le ferite,
Pur nello splendore tuo
Che di tenerezza ha condito.


Io amor domandai

Con ardore
Io amor domandai,
Senza intendimento alcuno
Mio Dio ti amai.

Per la pietà che colsi,
Nel  triste abbandono,
Io mi fermai con la solitudine mia
Nel distante camminar.


Il mio pensar nella bellezza

A te solo rivolsi il mio mar.
Il mio pensar nella bellezza
Colse i miei occhi
Negli occhi tuoi di lontananze.

Di te rimembrar io posso
Il fuoco della vita tua
Che di tanto lustro
S’animò mia vita.

D’amor io sento

Se misera è mia vita
A pregarti io documento.
E se parole non ho
Le mani mie sono a raccogliere lo sangue tuo.

D’amor io sento
Nel carezzare lo corpo tuo,
Come di bianco le nuvole vaganti,
Pietate nell’abbraccio delle isole mie,
Io di virtù ho pazienze nell’amor tuo.

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