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giovedì 8 ottobre 2015

Le emozioni ferite nel castello dell’anima

Le emozioni ferite nel castello dell’anima: La mistica Teresa D'Avila moriva nell’ottobre del 1582 


di Pierfranco Bruni

Tra storia e utopia (Cioran, che più volte ha citato Teresa D’Avila)) il viaggio alla ricerca del centro attraversa il cammino mistico. Il misticismo è la cerca non solo della Speranza ma anche della Provvidenza. Una metafisica del senso non ha dimensioni teologiche ma chiaramente mistiche. Teresa D’Avila, la mistica che ha creduto nella metafisica dell’anima e ha fatto dell’anima un testamento di spiritualità, moriva il nell’ottobre di 433 anni fa. Nella sua Spagna Musulmana ha tracciato un viaggio che ha come dimensione onirica un giardino nel quale  ci sono perle e diamanti. Questo giardino è la metafora dell’anima. Il giardino che raccoglie le lacrime e i petali.
Non si vive l’anima. Si abita l’anima come se si abitassero le stanze del castello del proprio cuore.  Santa Teresa d’Avila è una mistica che ha attraversato il sogno della Profezia attraversando la Provvidenza e i suoi sentieri. Santa Teresa abitando il suo castello – anima si definisce nella grazia dei setti “ambienti”, i quali intrecciano i gradini dell’essere.  Viviamo sempre dentro un "Castello". Perché il Castello è un archetipo ma è anche la Grazia attraverso la quale lo sguardo ha la dolcezza della salvezza.
Siamo fatti di castelli. Si entra tra gli incisi o gli intagli per cercare per capire per vivere l'intensità che potrebbe condurre alla Illuminazione. Siamo noi un "Castello interiore". Conoscerci per conoscere. Una cifra di una intensa metafisica che "Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte mansioni...". È un concetto di Teresa D'Avila. Di Santa Teresa D'Avila. Ognuno di noi deve scavare nei propri occhi per portare a compimento le mansioni.

 È da anni che studio, leggo, medito sul senso - visione dell'anima sul quale lo spazio di Teresa si è impostato con il suo coraggio e la sua bellezza. Una Santa che viveva nella nicchia dei miei labirinti. Labirinti che “descrivono” la vita come “una notte passata in una scomoda locanda”.
L'altra notte ha bussato al portone del mio castello e mi ha domandato perché perdo ore e ore a scrivere su un argomentare che mi lascia a volte vuoto a volte ricco a volte strapazzato da idee e pensieri. Mi ha chiesto di riflettere sulla spiritualità delle sette mansioni.
Questo articolato numero sette mi riporta a mio padre. Già. Mio padre morendo mi ha sussurrato che volando sarebbe arrivato al settimo piano del Castello. Nessun vento mi ha ricordato, allora, la mia Teresa, che ho studiato nei primi anni universitari, ma le pagine belle del Castello del Re risalgono addirittura  agli anni ultimi del Liceo.
Ebbene, è venuta a trovarmi e mi ha ricordato che avevo fatto una promessa dopo l'uscita del mio Canto di Requiem, dedicato a Giovanni Paolo II, scritto a Santo Domingo nel 2005. Un Canto che resta tra le letture che Teresa intreccia nelle sue “meditazioni” sul  Canto del Cantici che accompagna il mio camminare tra la passione e la sensualità dello sguardo dei miei Orienti che sono andalusi e musulmani, cristiani e culturalmente bizantini in un Rinascimento – Barocco che è l’espressione di senso.
C’era una promessa dentro di me. La promessa era quella di riflettere meditare silenziare assorto sul suo Castello e sulla metafisica dell'anima.
Era nata  il 28 marzo del 1515. Muore il 4 ottobre del 1582. Perché Teresa?  È la Santa della Resistenza al dubbio. In tempi di equivoci e di contraddizioni che portano alla debolezza dell'anima bisogna risalire e trovate "il buon giardiniere" per ricoltivare le rose che adornano il Castello. Siamo uomini non perduti, ma chiusi nel bosco e chiedere al "chiaro" di illuminate il cammino significa abitarlo fino alla fine. Il cammino. 
Abitate l'anima. Quanta Teresa c'è nella Zambrano che continua con Camus a lasciarmi vivere la rivolta dello spirito nella ribellione della coscienza  di Cioran che mi recita l’utopia e la storia nel  vento della spiritualità. Allora.
A 500 anni dalla sua nascita cercherò di abbandonare il labirinto e tentate di vivere il Castello. Quello che non si vede ma si avverte e si ascolta.L'orizzonte della bellezza è un viaggio. Senza teologie ma con il segno mistico che è Provvidenza. È Profezia. Soltanto il mistico della profezia potrà salvarci.
Teresa busserà ancora al mio portone. Ed io non mi farò trovare impreparato perché in quella notte scomoda ci sono le radici dell’alba delle Orazioni. Bisogna conoscersi prima di conosce: mi ha insegnato Teresa. Ma “credo che non arriveremo mai a conoscerci, se non procureremo di conoscere Dio”. Per conoscerlo abbiamo bisogno della contemplazione che va oltre la meditazione. In quel senso mistico che è la fede senza teologia.
Il Cristo che trova in Teresa è quello che mi specchia nella eresia che è profezia. Bisogna sempre sopportarsi nell’esilio che viviamo e che ci vive. L’esilio è la finestra che ci conduce verso oil Castello. I quattro pilastri: raccoglimento, quiete, unione, estasi sono la Fortezza della metafisica dell’esilio perché tra Dio e l’Anima vive la Bellezza. Un percorso che non smette di accompagnarmi tra gli orizzonti fatti di linguaggio. E nel linguaggio il Divino il nostro cuore nell’umiltà.

Ormai sono anni che dialogo con Teresa e il suo misticismo è una di quelle vie che mi lascia nell’esilio ma non mi lascia solo. Perché dietro ogni crepuscolo c’è l’aprirsi della notte e in ogni notte c’è la luce che annuncia l’alba che è la Speranza. La solitudine è nella santità e questa è la visione mistica di Santa Teresa D’Avila. Una solitudine che nella sua vita si è sempre vestita di Speranza, perché che non crede che la speranza ci sia non può leggere la visione mistica. La bellezza che ha l’acqua della misericordia. La misericordia ha il cielo della malinconia nella profezia dell’esilio. Io vivo di Teresa D’Avila il passaggio delle sette stanze e chiedo di capire l’esilio che abbandona la solitudine e si fa anima. Il castello dell’anima tra le “emozioni ferite” (Eugenio Borgna nei suoi scritti ne fa un riferimento) resta il “luogo” nel quale custodire tutto io nostro senso dell’esistere oltre la vita stessa. viviamo di emozioni ferite nel castello della nostra anima.

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