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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

mercoledì 7 dicembre 2016

Le rose e il giardino del viaggio crepuscolare di Beatrice Capizzano Verri. Una poetessa tra Corazzini e Gozzano

Il crepuscolarismo di Beatrice Capizzano Verri. Un un vissuto tra gli inverni e le rose 

di  Pierfranco Bruni 

Le rose d'inverno e i giardini che si lasciano ascoltare nel vento dell'autunno. L'esistenza della preghiera nella notte. La notte come custode della parola poetica. La poesia come estremo esercizio del ricordare. Il ricordo come isola nella frammentare delle nostalgie.

In questo intreccio si vive e si evolve la poesia, ovvero, la poetica di Beatrice Capizzano Verri. Una poetessa che ha avuto come punto di riferimento San Lorenzo del Vallo, il paese di Calabria della sua memoria, e la memoria delle sue strade e della sua casa, e qui ha trascorso gli anni in cui, nel suo giardino, vide sbocciare le rose. Tanto sbocciarono che si è formato un roseto. I colori sono crepuscolari come il suono del verso. E il roseto è primavera mentre soltanto qualche rosa ha la luce che ha riflessi d'inverno.
Una poesia i cui riflessi sono onde e sono ombre. Sono un costante gioco di ricordanze e nelle mani acque di paesi e tra le dita scivolano silenzi rotti da riflessioni che sembrano un giro di spazi e di pause che si portano dentro realtà e metafore come se fossero un intrecciare di nuvole.
Cosa può avvenire prima che la luna possa tramontare? Così il titolo della sua raccolta di versi del 1960: "Prima che tramonti la luna". Un gozzaniano ascoltare le stagioni. 
Perché si resta in attesa dell'attimo prima del tramontare e perché si cerca nella luna il dialogo? Perché, in Beatrice Capizzano Verri sono in più occasioni associati la visione del tramontare con l'immagine della luna? 
Sul piano della lettura critica è subito spiegato dal fatto che la Capizzano Verri è  stata non solo una attenta studiosa di Leopardi e della lirica, nella metrica e nella struttura, greca e latina, i cui due fattori restano centrali nelle sue scelte motivanti scrittura e forma.
In termini di approccio esistenziale, nel verbo tramontare c'è sì la coscienza del finire, del chiudere e iniziare il giorno nuovo, del concludere lo spazio che va dal chiarore dell'alba al crepuscolo osservando le diverse fasi del cangiare dei colori sino all'annunciare della frazione che lega nuovamente il tramontare della luna, che rappresenta una metafora di luce. 
Nel momento in cui la luna tramonta si pensa a un nuovo chiarire dopo che la notte è stata abbandonata.
In fondo si tratta di una poesia marcatamente religiosa e crepuscolare, il cui costante rapporto sembra tutto giocato tra la speranza e l'attesa. Speranza e attesa sono, nel pensare e nell'ascolto della poetessa, un frequentare  la metafisica dell'anima.
Si ascolta: 
"Avrò finito di tessere il mio lenzuolo/-mio caro bene, mio dolce amore-:/un lungo sonno in esso vorrò dormire,/prima che tramonto la luna.//Il lungo sonno in esso vorrò dormire/fino al risveglio di là dal dolore,/fra le tue braccia, mio sospirato bene,/dolce mia Madre, tramontata luna...".
Beatrice Capizzano Verri assorbe tutta una atmosfera di un paesaggio letterario ed esistenziale che ha il velo crepuscolare e decadente. 
Un velo rigato di atmosfere che sfumano l'andare del tempo. E il tempo è sempre un andare e un ondulare di colori in uno scenario in cui i ricordi sono protagonisti. E restano protagoniste le stagioni nello sfogliare i petali delle rose.
Al 1953 risale: "D'inverno, qualche rosa". Qui, oltre al tempo puramente poetico, ci sono i luoghi, che assumono un immaginario anche fisico, geografico, storico oltre che esistenziale.
Appunto una stretta di esistenze che diventa resistenza nel groviglio di memorie. Puntuali i versi della poesia dal titolo: "Verso Tarsia". 
Così: 
"Nel suo letto velato d'amaranto/scende ai suoi sonni estatici la sera//Tarsia ci guarda dalla sua spalliera/di fichi d'India e bruni olmi; frattanto/la cannaiola lungo la riviera/sorge, e spiega alle prime ombre il suo canto.//Ecco, e il fantasma della primavera/ti viene innanzi in veste d'amaranto".
Stagioni e paesi. Tarsia è un paese a pochi chilometri da San Lorenzo del Vallo. Ma ci sono altri versi nei quali il "geografato" è  ben presente e la presenza diventa una contemplante pausa del tempi nell'anima.
La madre costituisce un faro intorno al quale girano il muoversi  dei riflessi. È non solo un dedica, ma una voce ispiratrice. 
Beatrice Capizzano Verri, una poetessa nel paesaggio delle geografie e delle esistenze.
Da "Cetra giovine" ad "Echi", da "Giardino in ombra" ai poemetti "Costruttori", dalle novelle "Ore vissute" sino a "Prima che tramonti la luna", già citato, e al precedente, anch'esso menzionato, sull'inverno e le rose, e anche ai libri successivi, la "costruzione" è un vissuto che non si perde nell'immaginario, o viceversa, ma sono un intrecciare di lenti passi nel gioco inafferrabile della vita che giorno dopo giorno aggomitola ricordi per poi sgomitolarli proprio prima che la luna possa entrare nel tramonto.
I luoghi e la natura, la ricerca di una spiritualità nel tratto lieve del disegnare il paesaggio, le rose e il viaggiare tra i luoghi sono un custodire di attese nello scorrere delle ore che sono tempi nel frammentato mosaico di tutto ciò che ha senso. E il senso è nel tutto, ma tutto è un senso perché ha un senso. Non una poesia costruita. Forse una poesia ricercata, sì.
Le rose continueranno ad essere rose tra gli inverni e la luna di lascerà osservare, sempre, prima che tramonti. È uno scorrere.
Ho conosciuto Beatrice Capizzano Verri. Vissuta nella geografia del mio vissuto di paese. Ho avuto frequentazioni epistolare fino al 1987. 
Una poetessa che va ricontestualizzata in una taratura crepuscolare in una letteratura del Novecento tutto ormai da riproporre. Non è soltanto una poesia delle esistenze di una Calabria simbolica e tracciata nella tradizione.
È una poetessa il cui senso onirico non conosce frontiere geografiche anche se la Calabria è un passaggio non solo necessario, ma anche obbligato.
Nei miei scritti più volte è stata sottolineata la sua delicatezze e la sua forza di ricorrere alle rimembranze. 
Se il senso è il tutto. Tutto ha un senso. In questa poesia la cui classicità è la metafisica dell'esistere.
Una metafisica che trova nel senso di abbandono il senso del tutto. La sua vicinanza sia a Corazzini che a Gozzano si nota in modo marcato. Anche i luoghi vivono il senso di un crepuscolare orizzonte. Le rose che ha coltivato nel suo giardino resteranno le rose di un inverno che ha stagioni di malinconie profonde. 
E poi verranno altre rose ma non avranno mai la magia del giardino vissuto tra gli anni passati e i ricordi appesi al filo delle nostalgie. 

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