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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

lunedì 24 aprile 2017

Nell’anno pirandelliano il Mediterraneo di Verga resta un confronto profondo

di Marilena Cavallo*


Marilena Cavallo
 Potrebbe esserci una comparazione, una diversità, un’alterità tra il Verga dei Malavoglia, di Mastro don Gesualdo, quindi il Verga popolare antropologicamente focalizzato in quella Sicilia in cui la cultura popolare diventa cultura dei linguaggi, cultura di un’etnia ben sistematica all’interno del territorio, e Luigi Pirandello del Fu Mattia Pascal e di Uno, nessuno, centomila.
Credo che già questa riflessione diventi rischiosa, azzardata. Verga e Pirandello, sebbene siano nati nella stessa regione (e pur Pirandello avendo amato profondamente Verga) ritengo che ci siano delle diversità di fondo tra il Pirandello, nella complessità della sua opera, e Giovanni Verga.

Pur approfondendo l’aspetto antropologico e letterario, credo che le diversità siano da rintrecciarsi in quel contesto chiaramente nato su un tessuto demoetnoantropologico della letteratura. Verga appartiene a una cultura profondamente popolare, profondamente radicata all’interno, non dei personaggi che ha rappresentato, bensì dell’ambiente che ha ricostruito; perché Verga ricostruisce un ambiente, vive di ambienti, si serve dell’ambiente, anche se è naturale che i personaggi diventino punto centrale, ma ciò che fa la narrativa di Verga è l’ambiente in sé, ovvero il “realismo” fino a giungere al contesto dei Malavogliain cui si verifica la partenza, la fuga, chiamiamola in questi termini, della Provvidenza, cioè di andare oltre la Sicilia, perché quella “Provvidenza”, quella barca, va a picco nel mare e la “provvidenza” la si cerca metaforicamente altrove.
La visione della “provvidenza” in Verga ha una sua caratura di origine religiosa, una religiosità popolare ben radica all’interno di un tessuto geografico le cui radici sono sempre radici mediterranee.
Verga invece di ricontestualizzare il personaggio, ricontestualizza più volte la rappresentazione del reale. Pirandello, al contrario, sottolinea l’importanza del luogo, del “luogo non luogo”, potremmo dire in termini antropologici. Sottolinea l’importanza delle sue origini, della sua nascita in quel tessuto territoriale, in quell’incipit della sua stessa vita che è il caos ma, parimenti, attribuisce un ruolo principale di straordinaria importanza ai personaggi.
Se Verga parla attraverso l’ambiente, Pirandello parla attraverso i personaggi e ai personaggi destina un destino che è il proprio destino, in fondo. “Destina un destino che è il proprio destino”, una sottolineatura che potrebbe sembrare bizzarra, ma che ha una sua scavatura nella formazione di Pirandello.
Pirandello è un esistenzialista, è un decadente che ha superato il Decadentismo e ha focalizzato la sua attenzione in una filosofia esistenzialista. Verga è un positivista. Verga si definisce nel mostrare la realtà, nel mostrare l’ambiente senza scavare nella coscienza del personaggio. Pirandello, invece, scava nel labirinto del personaggio, nei meandri del personaggio, per tentare non di recuperare (questo è il punto significativo), bensì di tentare di capire, di avere una consapevolezza maggiore del suo legame tra personaggio e uomo. Verga, al contrario, crea un legame tra “uomo e ambiente” e cerca di capire. Se Pirandello non vuole capire, non cerca di capire, ma cerca di approfondire una consapevolezza che è una consapevolezza esistenziale, Verga, appartenendo a quella tradizione storicista, cerca di capire il senso della storia, della fatalità. Più che destino, in Pirandello sembra emergere l’”avventura del destino”, che è una cosa ben diversa. Ho sottolineato fortemente la “questione del destino”, ma se noi dovessimo prendere come testimonianza i personaggi, ci renderemmo immediatamente conto come ogni personaggio, pur marchiato dal proprio destino, viva un’avventura, una propria avventura, che poi sarà l’avventura dell’Io narrante. L’avventura può essere triste, malinconica, ironica o drammatica, tragica e inquietante, ma l’avventura c’è.
In Verga manca il concetto di destino perché c’è il “caso”, e manca anche questa avventura. E neppure la realtà in Verga offre la possibilità di capire il filo dell’avventura nei personaggi, perché i personaggi sono affidati al caso, ed essendo affidati al caso, vengono restituiti alla storicità del reale. In Pirandello la storicità del reale non esiste, esiste la “metafora del simbolo”. Ecco, allora, la diversità dei due scrittori siciliani, una diversità che è una diversità in cui è difficile poter accettare una comparazione, se non nella diversità. La filosofia esistenziale di Pirandello è la filosofia tragica, tragica nel senso umano, nel senso nicciano, nel senso del tragico ritorno. Questo senso del ritorno, l’antico ritorno in Pirandello, si testimonia proprio attraverso questo filo che collega la tragicità della sua terra, della sua isola, con la tragicità dello scrittore- personaggio-Io.
In Verga la tragicità iniziale cede il passo al dolore, il dolore che appartiene al reale storico dell’ambiente, degli ambienti in cui vengono rappresentati i suoi scritti.
Pirandello e Verga sono, appunto, i due modelli, non soltanto di una letteratura, ma di un modo di concepire la letteratura, e nel modello di concezione di una letteratura, si innescano due visioni da una parte filosofica, e dall’altra parte storica, anzi storicistica. Sono del parere che la visione antropologica dei due diventi necessaria nell’interpretazione complessiva di una storia della letteratura che ha posto alcuni percorsi per capire il Novecento.
Entrambi, però, sono figli dell’Ottocento. Verga e Pirandello, figli dell’Ottocento che si innescano dentro le maglie del Novecento. Verga termina la propria esistenza intorno agli anni Venti, Pirandello verso la metà degli anni Trenta. Tuttavia, entrambi assorbono il romanticismo, e se in Verga il romanticismo diventa positivismo, in Pirandello diventa esistenzialismo. È questa la chiave interpretativa significativa. Ma chi lascerà un segno dominante nell’epoca e nell’età contemporanea, Pirandello resta l’uomo tragicotout court, e resta l’uomo tragico tout court perché ha saputo trasferire, pur non perdendola mai, quella dimensione del tragico nei personaggi. Questa è una entratura in quella antropologia che non diventa folclore, ma diventa “percezione”. In Pirandello non c’è folclore, letto sul piano antropologico, ma c’è la percezione e i personaggi vivono di questa percezione in una costante quadratura in cui il tempo dell’esilio pirandelliano diventa il tempo del distacco. Pirandello si distacca continuamente dalla pagina perché pensa di trovare dentro la propria anima, dentro la propria coscienza, un destino. Verga, invece, se si distacca dalla pagina, cerca la verità della storia. Pirandello non cerca verità, cerca invece di filtrare quella maschera, o quello specchio, che ha costantemente davanti e, avendolo davanti quello specchio, lo porta dentro la propria anima.
Aspetti cruciali per delineare una letteratura verista, “realista” come è stata definita dalla critica (e lasciamo questa etichetta), ma io direi piuttosto una letteratura che ha tentato di duplicare il reale raccontando il “reale” senza servirsi dei simboli, senza lasciarsi contaminare dalle metafore nel caso di Verga. In Pirandello, invece, c’è la griglia simbolica di tutto ciò che i personaggi vivono e questa griglia simbolica si trasforma in archetipi, quindi prende il sopravvento il simbolo, il mito, questa classicità di cui tutta la cultura pirandelliana è infarcita, il mito greco, arabo, ovvero la simbologia greco araba. Pirandello è più orientale, in altri termini. Verga, invece, è molto radicato nella cultura europea, in quella cultura europea che rimane anche come racconto in sé, come racconto di storia nella desacralizzazione del tragico per concedere il sopravvento al “realismo del dolore”. In Pirandello c’è la sacralizzazione del tragico, quindi sostanzialmente percorriamo due strade completamente diverse sia nell’insistere, nell’osservare con lo sguardo l’ambiente, gli ambienti, sia soprattutto nel captare le sensazioni che i personaggi lasciano sulla scena e sulla pagina.
Sono due mondi che nascono nella Sicilia, che nascono nel Mediterraneo, e sono due mondi includenti sul piano antropologico, inclusivi sul piano etnografico, perché entrambi non perdono il senso della memoria e, non perdendo il senso della memoria, entrambi vivono radicati fortemente al tempo. Da una parte c’è il tempo della storia e della geografia in Verga, dall’altra parte c’è il tempo della metafora, c’è il tempo del tragico, il tempo dell’inquieto perenne, dell’eterno ritorno in Pirandello. Questa è una letteratura che ci permette di comprendere il passaggio tra Ottocento e Novecento e di entrare in quel Novecento che detterà il male di vivere, quel “male di vivere” che è stato dettato, appunto, da Luigi Pirandello.
*Capo Dipartimento Lettere Liceo Moscati di Grottaglie (Ta)

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