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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

lunedì 10 luglio 2017

Culla Placent. Amando Ovidio di Pierfranco Bruni


Ovidio  l'esilio del Novecento e la antica contemporaneità del Nostos
lungo il Bimillenario della morte del poeta che scrive alle eroine
Amando Ovidio
 Pierfranco Bruni
Il mio lavoro su Ovidio.  Sta per essere pubblicata una nuova e originale Cartella dal titolo “Amando Ovidio”,
curata da Anna Montella e seguirà un Video Docu.
Esilio e letteratura. un traccia per non morire di nostalgia e catturare nel tempo che passa pezzi di una memoria che intrappola il viaggiare tra le metafore. Il tema del viaggio, nella vita e nella poesia di Ovidio, costituisce una chiave di lettura in cui il senso, quasi, onirico dei suoi primi testi si trasforma in una visione prettamente tragico - sensuale e il  tragico lo si nota soprattutto nei suoi scritti dell’esilio.
Ovidio viaggiatore, Ovidio che ha attraversato il tempo della letteratura in un’età quale era l’età augustea con accanto, nella Roma imperiale, Mecenate. Il mecenatismo è stato un falso problema dell’Impero Augusteo. Ovidio sapeva benissimo ciò ed è  stato quasi un eretico dal punto di vista della tradizione augustea e di Mecenate. Un eretico nel senso che ha sempre scritto per volontà e per potenza di libertà spirituale e mentale tutto ciò che nel suo pensiero, nella sua creatività, nella sua arte diventavano modelli creativi. I modelli creativi di Ovidio rappresentano una penetrazione costante in un percorso che è un percorso onirico – innovativo.

La condizione del viaggio, in Ovidio, diventa inizialmente, ma anche alla fine della sua esistenza, una condizione di attesa, perché se c’è stato un viaggiare geografico vero tra i luoghi, c’è stato anche un viaggiare immaginario che insieme alla donna, tra l’arte amatoria, l’amare di un’arte retorica e il rimediare all’arte del dolore d’amore, costituiscono un mosaico notevole.
Noi abbiamo sempre letto Ovidio attraverso due elementi fondamentali: questa ars amatoria, che poi diventa l’arte del rimediare al dolore, e la grande opera che costituisce l’asse metafisico: le Metamorfosi. Ma dentro questo percorso, io credo, sono presenti altri aspetti della vita. Il libro in cui si parla delle lettere indirizzate a eroine, le lettere che hanno un qualche cosa di vero ma soprattutto giocano sull’immaginario, sono anche nel percorso mitico-simbolico dentro la storia di quel tempo che è poi diventato archetipico.
Quelle lettere ci danno una dimensione molto importante dal punto di vista mitico-simbolico; penso alla lettera di Fedra a Ippolito, a tutte quelle caratteristiche che Virgilio non è riuscito a tirare fuori e che invece Ovidio ha dato e ha condizionato anche una forma epistolare in cui si racconta, ma oltre a raccontarsi, si testimonia e ci si interroga. Pensiamo alla lettera di Briseide ad Achille, una caratterizzazione forte della funzione che ha avuto Achille perché tutto questo, che è stato il mito classico, è rivelazione di un intreccio in cui non c’è soltanto una cultura latina, ma anche la cultura greca che diventa fondamentale e Ovidio lo afferma proprio in queste lettere. Penso alla lettera di Penelope a Ulisse.
Ragioniamo e discutiamo di personaggi che hanno caratterizzato l’intreccio tra la grecità e la latinità, ovvero che hanno caratterizzato questo mondo, tutta la cultura, la visione e la dimensione di un Mediterraneo. Ovidio sapeva molto bene tutto questo, come emerge nella lettera di Didone ad Enea. Non è un caso che si tratta di un percorso di lettere scritte da eroine, e quindi da figure femminili che sono rappresentative di quel mondo. Cito altri personaggi come: Penelope, Fillide, Briseide, Fedra, Enone, Didone, Ermione, Arianna… la lettera di Arianna a Teseo, Medea a Giasone. Ecco l’altra grande figura, quella di Medea che scrive la sua lettera a Giasone.
Ovidio aveva lavorato sulla Medea. Conosceva molto bene la figura e la simbologia di Medea, l’aveva rappresentata. Pensiamo, inoltre, anche alla lettera di Paride ad Elena, e qui si invertono i dati, e la risposta di Elena a Paride, come quella di Saffo a Faone.
È tutto un tracciato in cui il mito è un’interpretazione del saper essere “metafisica” in Ovidio perché questa metafisca è l’anima di un’espressione che è onirica ma che congiunge il sublime al mito e quindi tutto ciò è l’espressione di una motivazione simbolica. Ma il viaggio di Ovidio è un viaggio che si caratterizza nella sua funzione e, se consideriamo questo discorso, credo che i veri punti di riferimento del viaggio di Ovidio siano da considerarsi come elementi di una vita che si fa letteratura, che si fa poesia. E quali sono questi elementi? Sono il tremore per l’amore, l’esilio, la solitudine, la morte, la nostalgia, l’attesa come nel rumeno Mircea Eliade.
Ovidio muore nel 17 d.C a Tomi nel Mar Nero. Il suo esilio non è un vagabondare, ma non è neppure l’esilio di Dante. E’ quell’esilio vissuto fino in fondo in cui la funzione dell’uomo diventa una vera e propria paura, la paura di non toccare più le sponde latine. Ovidio è un personaggio quasi assente, un personaggio distante che ha affermato che l’esilio non è soltanto la perdita della libertà, ma è la perdita anche del diritto di essere uomo. Questo è un tema ricorrente soprattutto negli anni dell’esilio, ecco perchè la visione e la questione dell’esilio diventa fondamentale; è come se dicesse, rivolgendosi ad Augusto: «L’imperatore Augusto è soltanto un imperatore. Io non sono soltanto un uomo, sono anche un poeta». Mi sembra un fatto essenziale.
Uno dei grandi libri su Ovidio lo ha scritto il rumeno Vintila Horia, con un titolo molto emblematico: “Dio è nato in esilio”. È un libro ormai introvabile, pubblicato da un piccola casa editrice (“La torre d’avorio”), ma che abbraccia tutta la funzione di Ovidio in terra rumena, tant’è che il sottotitolo di “Dio è nato in esilio” è: “Diario di Ovidio a Tomi”.
La prima edizione venne pubblicata nel 1979. Il tema che mette in evidenzia Horia è proprio il tema dell’esilio. Ma per Ovidio è un tema non nuovo perchè il tema dell’esilio è come se lo portasse dentro di sé, se lo vivesse dentro la propria anima, infatti anche nelle opere precedenti il tema della nostalgia, il tema dell’esilio, sono ricorrenti. Una storia d’amore finita è una storia che lascia nostalgia ma lascia anche un amore che è andato via, quindi si traduce nell’esilio di questo amore e tutto questo è parte integrante di uno studio e di un processo che va riconsiderato perché la complessità della figura di Ovidio diventa anche la complessità del tema dell’esilio, non soltanto negli anni in cui Ovidio è vissuto, ha scritto, ma è il tema ricorrente di tutta una letteratura.
L’esilio si abita. Bisogno sapere abitarlo. Mi riferisco a Maria Zambrano d il suo sapere dell’anima, in modo particolare. «L’esilio bisogna abitarlo» ha affermato la Zambrano, una donna che è stata in esilio dal 1936 quasi sino alla sua morte (è tornata in patria soltanto qualche anno prima, anni Ottanta del 1900). Il tema dell’esilio diventa ricorrente in tutta la sua opera e Ovidio, pur abitando l’esilio in Romania, non è riuscito a trasformarlo in esistenza.
L’esilio in Ovidio diventa un’attesa frustrante di un richiamo, diversamente da quanto avviene in Maria Zambrano in cui diventa un’abitazione, una casa (la casa del mare). Ovidio, pur vivendo fisicamente e spiritualmente, aspetta sempre che qualcuno lo richiami. Non verrà richiamato neppure dopo la morte di Augusto, dopo la presenza a Roma di Tiberio, e morirà condividendo la melanconia che diventa il senso del tragico.
In fondo Ovidio, dall’Arte amatoria dalla quale era partito, attraversando la trasformazione della letteratura ma anche la trasformazione dei miti qual è la metafisica forte delle Metamorfosi, giunge alla metafisica del distacco, della lontananza, appunto, dell’esilio.
Credo che l’esilio in Ovidio oggi ha un senso se riusciamo a catturarlo all’interno dell’esistenza e della letteratura moderna e contemporanea. il viaggio di Ulisse è un esilio permanente che si dissolve dopo la vendetta. Quello di Pavese è la ricerca della grecità. Quello della Zambrano è nella filosofia dell’anima. Quello di Ovidio è nel disperante guardare senza osservare l’intreccio del Mar Nero e aspettare.
Ovidio ha la malinconia terribile del Nostos e muore con la consapevolezza che la sua terra è oltre la sua anima perché alla geografia del tempo si contrappone quella che caratterizzera Dante. ovvero il pane altrui. Vivrà il metafisico nostos ma cerca una ragione. La nostalgia non vive di ragione ma di mistero.
Il viaggio e l’esilio. Questi sono i due elementi portanti che hanno caratterizzato gran parte della letteratura della diaspora e del ritorno, ovvero del Nostos, ma Ovidio si confronta con l’esilio attraverso un forte richiamo che è appunto quello metafisico. Un confrontarsi che non è un abitatore consapevole dell’esilio. L’ulissismo è stata una “pratica” del viaggio nell’esilio. Oltre l’esilio stesso perché è il viaggio che lo ha reso libero.
L’esilio di Ovidio è stato uno stanziale viaggio nella pratica del rimpianto. Entrambi sono riferimenti per un Novecento dell’esilio che va da Neruda a Cesare Pavese, da Kundera a Carlo Levi. L’esempio più emblematico restano, comunque, Maria Zambrano e Mircea Eliade.
Il mio lavoro su Ovidio. Comunque. continua: sta per essere pubblicata una nuova e originale Cartella dal titolo “Amando Ovidio”, curata da Anna Montella e seguirà un Video Docu.

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