Pierfranco
Bruni, Archeologo Direttore del Mibact con competenze Demoetnoantropologiche, è
stato chiamato a relazionare al Convegno Internazionale di Studi, che si
svolgerà a Roma, nella Sala della Biblioteca del Senato della Repubblica nel
maggio del 2018, sul tema: “L’Inquisizione
Romana e i suoi archivi. A vent’anni dall’apertura dell’ACDF” organizzato da MEMORIA FIDEI IV Archivio
della Congregazione per la
Dottrina della Fede, con
un contributo su “L’Inquisizione nella filmografia romana tra critica
e spettacolo”.
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L’apertura dell’Archivio
storico della Congregazione per la
Dottrina della Fede compie venti anni.Cinema e Inquisizione
romana: un discorso da rileggere
Di Pierfranco Bruni
A venti anni
dall’apertura dell’ Archivio storico della Congregazione
per la Dottrina
della Fede la storia della Inquisizione è un capitolo di una importanza
straordinaria per comprendere la civiltà politica delle Chiese. Può essere
letta attraversandola da diverse angolature e da diversi modelli
interpretativi, ma resta all’interno dei processi culturali non solo
ecclesiastici. Dalla storia tout court alla letteratura. Dalle arti al cinema.
Dalla teologia alla filosofia. La storia è ideologia. Anche quando penetra la
letteratura cinematografica. Soprattutto perché l’impatto diviene immediato.
L’immagine come dimensione di un raccontare
la storia. Nel tema specifico ci sono aspetti che sono stati attraversati sia
per dare risalto a processi storici veri e propri sia per dare un senso ai
nuovi effetti speciali servendosi sempre di riferimenti che hanno alla base l’elemento
storico.
In questo particolare percorso la filmografia
ha dovuto fare i conti, per la maggior parte delle sue proposte, con la
letteratura.
Infatti il cinema realizza il suo scavo
all’interno di una definizione di linguaggi. Il linguaggio cinematografico ha
una sua profonda eredità che nasce dal linguaggio narrante anche se il
linguaggio e il narrato filmico, in più occasioni, non rispetto fedelmente il
tracciato letterario.
“Il nome della rosa” del 1986 è uno di quei
testi che potrebbe essere preso come esempio, non solo come rottura di schemi
tra l’immagine e la trama narrante nel libro, ma soprattutto come
interpretazione perfettamente ideologica alla questiono della Inquisizione in
una chiave di lettura forzata su riferimenti storici che vengono volutamente
traviati.
Credo che sia errato considerare il processo
inquisitorio come processo eretico soltanto. “Il nome della rosa” è un romanzo
perfettamente ideologico che ha dato vita ad un film ancora di più
ideologizzato e questo proprio partendo da un concetto di Umberto Eco che è
fuorviante: “Tutte le eresie sono bandiera di una realtà
dell'esclusione. Gratta l'eresia, troverai l'emarginato. Ogni battaglia contro
l'eresia vuole solamente questo: che l'emarginato rimanga tale”.
Si
è eretici non nei confronti di Cristo, bensì nei confronti della struttura
della Chiesa. Si tratta di due letture che esprimono posizioni divergenti.
Altra è la visione di San Tommaso D’Aquino quando afferma: “Soltanto Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, esiste da tutta l‘eternità. Ciò
infatti ritiene come verità indubitabile la fede cattolica, e ogni asserzione contraria va rigettata come
eretica. Dio infatti nel creare le cose le ha prodotte dal nulla, cioè dopo
che c‘era stato il nulla”.
Ecco qui siamo nella eresia
vera e propria. La filmografia dedicata alla Inquisizione ha
considerato purtroppo più gli aspetti spettacolari che quelli formalmente
fedeli alla storia. Un dibattito che interessa i vari aspetti della
Inquisizione come il caso del film “Padrona del suo destino” del 1998 o “L’opera
in nero” del 1988.
A iniziare dal 1943 con “Dies irae” si entra
in un intreccio in cui la
Inquisizione si apre ad intreccio e tocca elementi che non
sono italiani, ma spagnoli. Questo aspetto sarebbe da chiarire sino ad uno dei
recenti fil dal titolo: “Sangue del mio sangue” del 2015. Ma il discorso è
molto più ampio e certamente ritornerò sulla questione nei prossimi mesi con
alcuni miei saggi.
E’ naturale, come già sottolineato, che la
spettacolarizzazione ha il sopravvento, il cinema è immaginario e immagine, ma
proprio approfondendo tali solchi la critica dovrebbe essere puntuale in una
interpretazione da condurre su direttrici storiche e documentate.
È su ciò che la discussione resta
completamente aperta per giungere ad un mosaico di scientificità. Questo significa che diventa pregiudizio il
concetto di inquisizione usato nella letteratura e nel cinema. “Spesso sono gli inquisitori a creare gli eretici”, una visione manieristica che
troviamo ancora in “Il nome della rosa”, infatti la frase è di Umberto Eco.
Si
contrappone a ciò, felicemente, un concetto di Benedetto XVI che sottolinea: “Bisogna assolutamente
suscitare di nuovo la gioia di possedere intatta nella sua realtà la società di
fede che proviene da Gesù Cristo. È necessario riscoprire la via di luce che è
la storia dei santi, la storia di questa realtà magnifica in cui si è espressa
vittoriosamente lungo i secoli la gioia del Vangelo. Se qualcuno, quando si
evoca il Medioevo, non trova altro nella sua memoria che il ricordo
dell'Inquisizione, bisogna chiedergli dove ha gli occhi: è possibile che tali
cattedrali, tali immagini dell'eterno, piene di luce e di una dignità
tranquilla, avessero potuto sorgere se la fede fosse stata solo tortura per gli
uomini?”.
Una antropologia dei comportamenti è nel
vissuto di una tale testimonianze. Oggi bisogna capire per poter chiarire e
conoscere per andare oltre gli schemi. Il cinema ci propone una interpretazione
che va, comunque, letta.
Credo che anche il cinema dovrebbe partire da
questa sottolineatura per poter leggere con più decisione la storia non della
chiesa soltanto, ma la storia della cristianità. Victor Hugo ebbe a dire: “La libertà di amare non è meno sacra della
libertà di pensare. Ciò che oggi si chiama adulterio, un tempo si chiamava
eresia”.
A vent’anni (2018) dall’apertura dell’ACDF (Archivio storico
della Congregazione per la
Dottrina della Fede) dovremmo poter leggere la storia della Inquisizione in tutte le sue
prospettive. Prospettive che danno un senso articolato non ad un immaginario ma
ad un dato storico.
Davanti ad alcuni versi di Franco Battiato, tratti da “Auto da Fè, n.
2, che dicono: “E'
sceso il buio nelle nostre coscienze, | e ha reso apocrifa la nostra relazione,
| vorrei innestare il modo dell'indifferenza, | e allontanarmi da te, | per
presentarmi innanzi al tribunale | di una nuova inquisizione: | faccio un' Auto
da Fé, | dei miei innamoramenti, | un'Auto da Fé, | voglio praticare il sesso
senza sentimenti”, è da condividere il fatto che le arti cinematografiche e le arti visive
offrono la possibilità di una lettura certa.
Su questo versante uno scavo antropologico ci mostra la struttura delle
epoche e delle realtà che si sono confrontate con il mondo della Chiesa. Ma
forse il discorso si dovrebbe aprire da un concetto molto importante di
Vilfredo Pareto: ““Il rimanere fedele alla propria fede si dice perseveranza, se la fede è ortodossa; ostinazione, se è eretica”.
In
realtà credo che il cinema abbia giocato un ruolo in negativo nel raccontare –
rappresentare i processi inquisitori. Troppe finzioni e poche verità. Macchina
dell’immaginario e del trasgressivo, ha mostrato, e rappresentato, storie
troppo immediate e cruenti (a mo’ di fiction) con poche verità e tanti effetti
che hanno condotto alla
suggestionabilità.
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