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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

sabato 12 maggio 2012

Vetri e parole - di Patrizia Bruggi

Il primo ad accorgersene fu Alfio, il figlio del casellante. Dall’alto della stazione ferroviaria vide che sulla spiaggia, più sotto, c’erano degli strani oggetti sparsi qua e là. Di un colore verde e marrone scuro. Non erano alghe. Forse erano stati gettati lì dalla mareggiata della notte precedente.
Inforcò la bici e raggiunse il paese. Non gli fu difficile trovare qualche altro compaesano curioso di sapere che cosa avesse restituito il mare quella notte. Così, scalino per scalino, scesero fino alla spiaggia.
E videro che erano bottiglie. Sei bottiglie. Due verdi, quattro marroni. Di vetro spesso e scuro, la ceralacca rossa sul tappo. Ma leggere e vuote. Non un goccio di vino.
Le misero in controluce una dopo l’altra. Al loro interno, solo un rotolino di carta.

Deluso, il figlio del casellante propose di spaccarle ed estrarre i foglietti. Forse un naufrago, un marinaio abbarbicato su uno scoglio stava chiedendo aiuto.
Il droghiere, con il suo spiccato senso pratico, rispose subito che se un marinaio fosse stato buttato dalla tempesta su uno scoglio avrebbe avuto le mani impegnate, per tenersi saldo alle pietre in mezzo al mare, non avrebbe potuto certo scrivere e poi, dove avrebbe potuto trovare delle bottiglie vuote, sigillarle nientemeno che con la ceralacca? Roba da signori.
Senza contare che al droghiere, sei bottiglie vuote, sarebbero servite per imbottigliare il vino. Di romperle, quindi, non se ne parlava proprio.
Risalirono in paese con quel misterioso bottino che le onde avevano deposto sulla sabbia.
E tutto il paese si riunì nel retrobottega del droghiere. Le bottiglie passarono di mano in mano, come certe volte erano passati di mano in mano i secchi d’acqua per spegnere gli incendi estivi.
Ma questa volta, alla fine della catena umana, stava il droghiere.
Seduto su uno sgabello, una candela accesa per ammorbidire la ceralacca e un cavaturaccioli in mano. A ogni schiocco del tappo in sughero che estraeva, schioccava la lingua, inseriva nel collo della bottiglia un filo di ferro piegato a uncino ed estraeva il foglietto, che poi porgeva al figlio del casellante.
Alfio, dopo un istante di raccoglimento, leggeva con voce stentorea le poche parole che una mano sconosciuta aveva voluto tracciare su quei fogli. Sembrava di partecipare alla tombola natalizia. Ma questa volta non si trattava di numeri.
“Mi urta”…
“E tutto”…
“Da solo”…
“Io l’ho amato”…
“Il troppo”…
“Quel che ho amato”…
Tutti, in quel retrobottega, allargarono gli occhi perplessi.
Il droghiere si grattò un poco la testa e sentenziò che quella era solo robaccia scribacchiata da qualche perdigiorno. Fogli buoni per ravvivare il fuoco. Almeno le bottiglie sarebbero servite per un nobile scopo. Che buttassero via quei sei pezzetti di carta. La cosa, per lui, era finita lì. E si alzò.
Ma quello che era considerato da tutti il matto del villaggio se ne venne fuori dicendo che forse, qualcuno, aveva proprio scritto quelle parole di proposito. Perché loro le intendessero. Perché prestassero orecchio.
Vi fu un brusio. Il matto, forse, nonostante la sua reputazione, questa volta non aveva tutti i torti. E il dottore, tra il serio e il faceto gli chiese di illuminare le menti dei presenti, svelando quale credeva fosse il significato compiuto di quegli spezzoni di frasi.
Il matto non se lo fece dire due volte. Posati i foglietti sul tavolo, iniziò a cambiare il loro ordine velocemente, quasi stesse giocando alle tre carte.
“Il troppo io l’ho amato da solo. E tutto quel che ho amato mi urta”, fu la prima frase ad apparire.
Il matto sorrise.
Il droghiere affermò che quella frase poteva essere stata scritta solo da un ingordo egoista che avesse fatto indigestione. Tutti risero beceri. Tranne il matto che, in fretta, scombinò l’ordine dei fogli.
“Io l’ho amato. Mi urta quel che ho amato. Il troppo da solo. E tutto”.
Il dottore subito contestò l’ordine delle parole. Le ultime due non avevano proprio senso, mancava un pezzo.
Il matto rispose svelto che, forse, chi aveva scritto quelle parole si era scordato di mettere l’accento sulla “e”. Era da intendere come: “E’ tutto” – ho finito – ho detto la mia. Dopo aver provato rammarico per un amore troppo totalizzante, troppo travolgente. Come i cavalloni del mare.
Il droghiere si spazientì e dichiarò che “un bel gioco dura poco”, lui non aveva tempo da perdere in sciarade o enigmi. Il negozio lo aspettava. E scacciò tutti dal suo retrobottega.
Il matto infilò in tasca quei sei foglietti e se ne tornò a casa. Ma quella notte non chiuse occhio. Pensava. A quelle parole. Alla mano misteriosa e sconosciuta che le aveva scritte e poi affidate al mare. Quante altre bottiglie stavano galleggiando per raggiungere altre coste? E quali altre frasi portavano con sé?
Ma non c’era una risposta alle sue domande.
Così, il giorno dopo, decise di tagliare sei tavolette di legno, incollarvi i foglietti e appenderli uno per uno sulla parete di casa, quella accanto al camino.
Ogni giorno avrebbe cambiato l’ordine di quelle parole per comporre altre frasi, per cercare altre combinazioni, per entrare nel mondo di una persona a lui sconosciuta, per parlare le stesse parole che quell’anima lontana e, chissà, forse ormai non più sulla terra, aveva voluto scrivere.

5 commenti:

  1. Risposte
    1. A dire il vero l'avrei lasciato finire così...però chissà.... ;-))) Grazie ancora per il tuo blog!!!! Patrizia

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  2. Cara Patrizia,
    non credo debba avre un seguito. E' un noir dolce, se mi consenti l'espressione. Un noir d'amore per adottare quasi un ossimoro. E come ogni noir che si rispetti lascia a noi, infiniti 'matti del villaggio' la possibilità di trovare altre combinazioni. Di dare ai foglietti il senso che è più vicino al nostro sentire.
    Fluido, fruibile, ricco di sfumature il tuo stile, Patriza. Infinita la mia ammirazione! Maria Rizzi

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  3. Grazie Maria... in effetti, scrivendolo e descrivendo il "Matto", mi sono soffermata a pensare a tutti "noi matti" che cerchiamo di combinar parole....magari per una vita intera.... Un salutone! Patrizia

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  4. Fossi stato il matto l'avrei composti così :

    E tutto quel che ho amato, da solo l'ho amato , il troppo mi urta .

    Soggetto, complemento, predicato.....la loro posizione la mia vita han cambiato.

    Franco Corbo

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