Quando la poesia si fa canto
di Pierfranco Bruni
Dante Alighieri dalla “Vita nova”, alla “Commedia”, dai “versi sparsi” alle “Rime”: sono “luoghi” metafisici nei quali cantautori come De André, Lauzi, Vecchioni, Guccini, Franco Califano, Tenco, Battisti - Mogol hanno scavato in quell’onirico misterioso che è il linguaggio delle assonanze, che vive dentro la Scuola Siciliana e lo Stil Novo.
Un linguaggio che non deve nulla alla letteratura italiana degli anni Cinquanta (Calvino – Pasolini: che tristezza), in linea con la presenza della cosiddetta canzone d’autore, perché è riuscita a confrontarsi con il mondo provenzale ed etnico che è vitale nel “De Vulgare” dantesco.
Si tratta di penetrare i legami tra la poesia e la canzone. Sarà il tema di un convegno che si svolgerà a Roma: “Il Dante da De André a Branduardi”.






















Siamo fatti di castelli. Si entra tra gli incisi o gli intagli per cercare per capire per vivere l'intensità che potrebbe condurre alla Illuminazione. Siamo noi un "Castello interiore". Conoscerci per conoscere. Una cifra di una intensa metafisica che "Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte mansioni...". È un concetto di Teresa D'Avila. Di Santa Teresa D'Avila. Ognuno di noi deve scavare nei propri occhi per portare a compimento le mansioni.

