di Michele Santoro
Con il passare del tempo sono sempre di meno le
pubblicazioni di testi in forma dialettale, presentati in molte zone della
penisola.
In questo articolo saranno analizzati le opere del prof. Luigi Vellucci, tarantino, che ha iniziato, con gran successo, la pubblicazione , a partire dal 1990, restando ligio a quella lingua madre che egli aveva appreso giocando nei vicoli del borgo.
Ad una creazione inizialmente in vernacolo, che è un voler scandagliare nella sfera dei ricordi, si sono succedute opere di narrativa e di poesie, in lingua italiana.
“ ’A scogliera d’ore”, “Tarde…A piccenna meje”, “Fantasia Tarantina”, “Natale de ‘na vote”, “Il braciere”, “Settimana d’amore (U trucculande)”, “Eleonora” e “Sulle ali del cuore”, “Io FedericoII”.
L’autore è sempre alla ricerca della parola giusta e ad effetto, che riesce a trovare, facilmente, da una lingua parlata, quella tarantina, non ricca di molti vocaboli, e collocare, al punto esatto, con facilità ed efficacia. E’ necessario ringraziare, più volte, gli studiosi dell’idioma per l’opera di ricerca, meritoria, che essi svolgono e per il messaggio che, alcuni di loro, portano nelle scuole.
In questo articolo saranno analizzati le opere del prof. Luigi Vellucci, tarantino, che ha iniziato, con gran successo, la pubblicazione , a partire dal 1990, restando ligio a quella lingua madre che egli aveva appreso giocando nei vicoli del borgo.
Ad una creazione inizialmente in vernacolo, che è un voler scandagliare nella sfera dei ricordi, si sono succedute opere di narrativa e di poesie, in lingua italiana.
“ ’A scogliera d’ore”, “Tarde…A piccenna meje”, “Fantasia Tarantina”, “Natale de ‘na vote”, “Il braciere”, “Settimana d’amore (U trucculande)”, “Eleonora” e “Sulle ali del cuore”, “Io FedericoII”.
L’autore è sempre alla ricerca della parola giusta e ad effetto, che riesce a trovare, facilmente, da una lingua parlata, quella tarantina, non ricca di molti vocaboli, e collocare, al punto esatto, con facilità ed efficacia. E’ necessario ringraziare, più volte, gli studiosi dell’idioma per l’opera di ricerca, meritoria, che essi svolgono e per il messaggio che, alcuni di loro, portano nelle scuole.
Per scrivere in dialetto occorrerebbe pensare nello stesso modo e soprattutto
avere una grammatica. La generazione degli anni quaranta, forse è quella che
può ancora esprimersi nella lingua paterna. Dopo, i ricordi non prendono più
forma e sono come la sabbia che, stretta tra le mani, sfugge. Non è un caso che
i tempi “de ‘na vota” siano quelli sui quali si sofferma e scava, in
profondità, il poeta e scrittore Vellucci per riportare alla luce sentimenti
religiosi e popolari legati alle tradizioni e per descrivere i vari personaggi
tipici della città. Capita leggendo i libri di sentire il profumo delle
pettole, di vedere le carteddate e le “sannacchiudere” ben appoggiate sopra “o
cascione” nella casa della nonna. Passeggiando per le strade s’incontra Marche
Polle “ca camine chiane chiane trascenanne le cepòdde. Uè ‘na bbuste?
Addummanne a tutte quante”; Don Cataldine “tazze e buttiglie”, Ciccio
Cauro, Finanicchio ed altri personaggi che la fantasia dell’autore
ha creato; per le strade si ascoltano quei suoni gutturali dei tanti venditori
che si aggirano per la città proponendo la propria mercanzia. Quei suoni sono
quelli de “na vote”, quelli dei ricordi, che ritornano come per incanto.
Le vie si animano al passaggio delle carrozze, i taxi di tanto tempo fa, e
lungo queste strade acciottolate i bambini imparano e si divertono con i giochi
appresi dai loro genitori:”Manuè zzozzò”, ‘A livoria”, “’U spezzidde”, ‘U
turnijdde”, ‘U currucolo”, ‘U zippere”, “’U palme”, “le Cinque petre”.
La strada è la casa di tutti e lì si materializzano anche le voci di
mestieranti: ”il carbonaio”, “l’impagliaseggie”, “lo stagnino”, “il cestaio”,
“L’aggiustapiatti e recipienti di terracotta”, “’O mola forbici”, ”’o
Mbrellaro”. Dalle tante porte lasciate tutte aperte si odono le voci delle
donne che, cucendo o ricamando, parlano con la “comare” della porta
accanto. Dalle case escono quegli odori di una cucina povera ma ricca di aromi
particolari che stuzzicano l’appetito.
Come fare a descrivere tutto questo alla nuova
generazione che vive in un altro mondo fatto di smartphone, Pc, o di notte nei
pub o discoteche, sorseggiando un drink?
- Come
fare per riproporre quelle sensazioni che i ricordi infantili tendono ad
enfatizzare ancora più?
- Come fare
per raccontare il silenzio di una città che poco per volta si sveglia al
rumore degli zoccoli dei cavalli o al canto del gallo e che si anima con
le modulazioni dei venditori ambulanti?
- Come
fare a descrivere il dolce suono di una serenata e di un canto che un
innamorato faceva sotto la finestra della donna che amava.
Questo è “‘u tiempo de ‘na vote” che deve
essere esposto nella sua semplicità, al pari di come si racconta una favola,
poiché di una favola si tratta!
La storia di una generazione che sta scomparendo stritolata dall’avanzare di una tecnologia che consegna alle future generazioni, un mondo nuovo, in cui le favole non possono esistere più.
Chi ha la capacità ed il dono di scrivere e raccontare storie, tradizioni, poesie in dialetto deve farlo poiché sarà, il suo, un testamento ed un atto d’amore verso i nuovi cittadini.
Con l’allargamento dell’Europa e con la necessità di dover parlare un linguaggio comune, si corre il rischio di far scomparire, nel tempo, tante lingue, così com’é avvenuto con i dialetti. Per questo motivo, ogni nazione, in sede del parlamento europeo, almeno in parte, dovrebbe esprimersi, negli atti ufficiali, nella propria lingua ed in quella universalmente scelta, l’inglese.
La storia, che è anche fatta di tanti linguaggi, non può essere cambiata con un colpo di spugna.
La storia di una generazione che sta scomparendo stritolata dall’avanzare di una tecnologia che consegna alle future generazioni, un mondo nuovo, in cui le favole non possono esistere più.
Chi ha la capacità ed il dono di scrivere e raccontare storie, tradizioni, poesie in dialetto deve farlo poiché sarà, il suo, un testamento ed un atto d’amore verso i nuovi cittadini.
Con l’allargamento dell’Europa e con la necessità di dover parlare un linguaggio comune, si corre il rischio di far scomparire, nel tempo, tante lingue, così com’é avvenuto con i dialetti. Per questo motivo, ogni nazione, in sede del parlamento europeo, almeno in parte, dovrebbe esprimersi, negli atti ufficiali, nella propria lingua ed in quella universalmente scelta, l’inglese.
La storia, che è anche fatta di tanti linguaggi, non può essere cambiata con un colpo di spugna.
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