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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

lunedì 12 febbraio 2018

Isabella Morra uccisa dai fratelli per essere stata l’amante di Diego Sandoval?

Si parlerà a Cosenza  -  Biblioteca Nazionale 
di Pierfranco Bruni

“La doglia eterna” della poetessa di Valsinni! Si parlerà a Cosenza di Isabella Morra il 26 febbraio prossimo nella Sala della Biblioteca Nazionale grazie al Convegno di Cultura Maria Cristina di Savoia presieduto da Angela Gatto. Poesia e morte. Un binomio antico. Ha attraversato intere generazioni. Ritorna spesso. Ma è la poesia che fa discutere di questi intrecci. Chi ricorda più la tragedia della poetessa Isabella Morra? Era il 1546 quando Isabella Morra veniva uccisa. Aveva 26 anni. Ed era bella.
Bella con i sogni tra i versi e le parole che raccontavano solitudini nel tempo perduto in un feudo tra la Calabria e la Basilicata. Suo padre era il signore di Favale.
Un feudo nella valle del Sinní. Era avverso agli spagnoli e quando i francesi vennero scacciati dal Regno di Napoli il padre di Isabella si rifugiò in Francia. Isabella fu affidata alla cura dei fratelli che la costrinsero a vivere in una tragica solitudine.
 Isabella si innamorò del poeta Diego Sandoval de Castro sposato con Antonia Caracciolo. I fratelli appena scoperta la relazione, senza pensarci due volte, uccisero Isabella e poco dopo tesero un agguato al suo amante e lo trucidarono.

 Era bella Isabella. Nel castello di Favale. Era bella mentre tendeva lo sguardo a Diego Sandoval, mentre si amavano, mentre giocavano nel tempo tragico a perdersi e a ritrovarsi. Era bella Isabella nell’ultimo amplesso mentre con tristezza recitava:

“Ogni mal ti perdono,/né l’alma si dorrà di te giammai,/se questo sol farai,/ahi, ahi, Fortuna (e perché far no ‘i dei?):/che giungan al gran Re li sospiri miei”.
L’eco di lontananza e le voci del vento setacciate nella notte. Notte di stelle e di tragedie. Favale era un deserto. Giovanni Michele di Morra al servizio del Gran Re si trovava lontano dalla sua terra. Isabella lo invocava. Lanciava messaggi. E cantava una melanconia struggente:

“Torbido Siri, del mio mal superbo/or ch’io sento da presso il fine ama/…/Dilli come, morendo, disacerbo /l’aspra fortuna e lo mio lato avaro, /e, con esempio miserando e raro,/nome infelice a le tue onde io serbo. /Tosto cb’ei giunga a la sassosa riva /(a che pensar m’adduci, o fiera stella,/come d’ogni mio ben son cassa e priva!),/inquieta l’onde con crudel procella, /e di: «M’accrebber sì, mentre fu viva, /non gli occhi no, ma i fiumi d’Isabella”.

Isabella morì sotto i colpi dei fratelli. E anche l’amante poeta. Tra i sogni in un gioco infinito. Si perse un amore nel tradimento consumato. E la fantasia era nella vita. Fantasia e biografia: su questo tracciato si snocciola il mondo poetico di Isabella Di Morra. Un tracciato poetico teso sulla corda di una esistenzialità inquieta e addolorata.
 Che cosa fu la poesia per Isabella? Una tragica coincidenza? Il linguaggio come liberazione o come sintesi di una vita ? Chi lo potrà mai confermare? E’ certo che Isabella invocò sempre il padre. Il padre come identità perduta. L’amore per Diego Sandoval come riferimento ritrovato. Ma le coincidenze a volte sono più crudeli della vita stessa.
 Gli amanti traditi in un rapporto d’amore vissuto sul tradimento. E Antonia Caracciolo ? Quale tradimento più atroce dovette subire ? Tradita e beffata. E non c’era, nel tutto, un filo sottile d’ironia. Ma il destino è un cammino segnato che tocca le corde del tempo e incrocia l’amore con la morte.
 Isabella era bella lungo il fiume Siri (o Sinni). E raccoglieva parole per raccontare favole o gloria di un tempo andato. E chiedeva al padre di ritornare. Ma il tempo è lungo e le ore sono brevi. Il tempo si sbriciola e i ricordi si condensano nella memoria. Tutto, alla fine, è memoria. Anche il suo canto è una voce nella memoria che ritaglia sogni nelle fantasie che si fanno futuro.
 Ci sono racconti che imprigionano misteri e racconti che si chiudono nella solitudine. I destini si incrociano. Isabella e Diego Sandoval. 0 quell’altra storia di sofferta malinconia tra Bianca Lancia di Agliano e Federico. L’imperatore Federico e Bianca. L’imperatore muore poco dopo aver coronato il suo sogno d’amore con Bianca.
 Dopo aver legittimato suo figlio Manfredi. Ci sono viaggi imprevedibili e percorsi che diventano insondabili e indefinibili. Isabella e Diego si sono amati pur sapendo a cosa andavano incontro. Ma ci sono segreti tra le pieghe di ognuno di noi che non vorremmo rivelare neppure a noi stessi. La vita è una tragedia che continua.
 Per Isabella non c’era uscita diversa dalla sua tragedia. Il suo canto disperato è una testimonianza di fuoco. Erano le lacrime e il sangue che scorrevano nel Siri. E si faceva triste la sera. Sotto la luna si intonavano rime di dolore. Una delle prime raccolte delle poesie di Isabella apparve a Venezia nel 1552 ma a Napoli venne pubblicata la raccolta integrale nel 1693.  A riscoprirla fu Benedetto Croce.
 Poesia di meditazione. Poesia semplice. Poesia di tristezza. Poesia della consapevolezza. Sono state usate tante terminologie. Isabella Di Morra resta nella poetica della tragedia: sia biograficamente sia letterariamente. Forse anche una poesia della solitudine.

“Quella ch’è detta la fiorita etade,/secca ed oscura, solitaria ed erma,/tutta ho passato qui cieca ed inferma”.

Una commozione intensa pervade il dettato poetico. I sogni sono dentro l’angoscia e le disperazioni sono graffi sui muri del castello di Favale. E’ un fiume che scorre. Ci sono parametri letterari sui quali si potrebbe riflettere. Ma Isabella è la biografia che si fa poesia e gioca con le onde di un amore – fantasia.

“Deh, mentre ch’io mi lagno e giorno e notte,/ o fere, o sassi, o orride ruine,/o selve incolte, o solitarie grotte,/ulule e voci, del mal nostro indovine,/piangete meco a voci alte interrotte/il mio più d’altro miserando fine”.

In Leopardi ritorna questo canto. Una tensione senza sirene che freme nell’angustia dei giorni che passano e conducono inavvertitamente alla fine. In ogni fìne c’è sempre la fine di un tempo. Ci si consuma aggrappati ad una attesa. E Isabella è stata colta dentro questa attesa. Ma forse c’è anche un’attesa che manca.
 Una poesia fatta di tensioni. Nelle biografie ci sono sempre misteri intrecciati a segni indecifrabili.
 Chi potrà mai penetrare i misteri o chi potrà mai entrare dentro il fiume dei segreti? E’ vero. Isabella era bella. Nella disperazione era bella. La sua poesia è una testimonianza che continua a tracciare percorsi.
 La solitudine e poi la tragedia di Isabella alla fine si trasformano in disperazione. Disperazione senza speranze, disperazione senza ancore, disperazione chiusa nel silenzio. Amore e morte. Ma l’amore è nella morte e la morte (e aveva ragione Michelstadter) è nell’amore – vita.
 Il destino crudele la circondò. La avvolse nel suo mantello. Il suo testamento non giunse a termine. Pagine bianche. E poi c’è la morte. Ma il tempo è più della morte. Ecco perché ancora si racconta di Isabella Di Morra: donna di Favale nata nel 1520 e morta uccisa nel 1546. I suoi versi recitano e il suo amore per Diego Sandoval è oltre il fiume. Ma la vita è nel tempo e l’amore è un segreto.


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